“Nel ’95 – ricorda Pugliese – l’Ilva di Taranto, assieme ad altri impianti tra cui quelli di Marghera, di Novi Ligure e di Torre Annunziata, a cui poi si aggiunsero altre aziende a partecipazione statale (Cimi, Sidermontaggi e Icrot) e private, furono cedute alla famiglia Riva per qualche spicciolo senza che il parlamento si degnasse di discutere la questione. Il risultato fu che i Riva si fecero con l’Ilva per appena 1649 miliardi di lire, realizzando, già nel primo anno di attività nella veste di nuovi proprietari, 500 milioni di lire di utile. In sostanza, con il governo guidato da Lamberto Dini (peraltro ministro del Tesoro ad interim) al timone i Riva acquisirono, attraverso una serie di operazioni che potremmo documentare nel dettaglio in qualsiasi momento, un’azienda siderurgica di livello mondiale senza scucire una lira”.
“Adesso – attacca ancora Pugliese – il passato sembra riproporsi, con la cordata Arcelor-Mittal e Marcegaglia pronta ad acquisire un good company libera da debiti e problemi giudiziari, che invece verrebbero riversati su una bad company. Per giunta, qualora la richiesta di Gnudi di recuperare l’1,8 miliardi di euro sequestrati ai Riva dalla magistratura milanese per applicare gli interventi previsti dall’Aia (Autorizzazione integrata ambientale), ai nuovi proprietari verrebbe consegnati impianti a norma per ciò che concerne sicurezza e sostenibilità ambientale”.
E ancora. “Purtroppo certe vicende non riguardano solo l’Ilva, ma tante aziende a partecipazione statale che, in barba alla necessità di rimpinguare un debito pubblico da record, vengono cedute a costo zero o quasi, peggiorando ulteriormente, numeri alla mano, la situazione delle casse dello Stato. Ebbene: considerato che le banche non vogliono completare il prestito da 250 milioni e che alternative valide all’orizzonte non se ne vedono, il Governo Renzi, una volta tanto, dovrebbe fare la sua parte, assegnando, attraverso la Cassa Depositi e Prestiti, le risorse utili ad andare avanti. Forse qualcuno dimentica che in ballo ci sono 17mila posti di lavoro tra diretti, indotto e appalto e una produzione che, se non salvaguardata, causerebbe effetti molto negativi sul sistema industriale nazionale e un su un Pil già di per sé in profondo rosso”.
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