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Ilva, Confagricoltura: “Bad Company? Grande rischio”

L’ipotesi di una bad company Ilva in cui infilare il contenzioso ambientale mi pare davvero una pessima idea: non vogliamo finire nel calderone dei cattivi”. Commenta così Luca Lazzàro, presidente di Confagricoltura Taranto, la notizia circolata sulla carta stampata circa la definizione del nuovo assetto societario del colosso siderurgico tarantino su cui stanno lavorando il ministro allo Sviluppo economico, Federica Guidi, e il commissario straordinario Piero Gnudi. La possibilità di applicare il “modello Alitalia” all’Ilva – come riportato da autorevoli organi di stampa – è stata ventilata durante un vertice a Roma, al quale oltre al ministro e al commissario Ilva hanno preso parte Aditya Mittal, responsabile finanziario di ArcelorMittal (il colosso franco-indiano che da tempo corteggia l’Ilva), i banchieri di JpMorgan che l’assistono, Antonio ed Emma Marcegaglia, a capo di un gruppo con forti interessi nella produzione di acciaio.

Un incontro ai massimi livelli, che testimonia la volontà del governo di stringere i tempi per trovare una soluzione definitiva alla questione Ilva. “Stando alle cronache – spiega Lazzàro – Gnudi vorrebbe costituire una new.co, una specie di Ilva 2 alla quale l’attuale Ilva conferirebbe le aziende, i dipendenti e i debiti legati alla sua attività, tra i quali il finanziamento-ponte da 250 milioni. Così facendo, si finirebbe col tutelare il credito delle banche, mentre resterebbe alla bad company il contenzioso ambientale, assieme alle pretese risarcitorie di decine di aziende e portatori d’interessi diffusi, come Confagricoltura. È noto – continua Lazzàro – che la mia organizzazione è in attesa di conoscere la decisione della Cassazione sull’istanza di remissione, per potersi poi costituire parte civile nel processo “Ambiente svenduto” perché riteniamo, a ragion veduta, di essere noi agricoltori, insieme alle persone che si ammalano per l’inquinamento, le prime vittime di questo sistema che ha rovinato il territorio e lo sta penalizzando pesantemente non solo dal punto di vista ambientale, ma anche sul versante squisitamente economico”.

L’effetto del marchio “Taranto”, sinonimo di inquinamento, sta costando parecchio ad aziende che facevano dell’export il loro punto di forza. “Se a ciò aggiungiamo – rimarca il presidente di Confagricoltura – la possibilità che diventi più difficile, se non peggio, tutelare gli interessi di tante aziende che, anche in sede civile, stanno rivendicando il risarcimento dei loro diritti lesi dall’azienda siderurgica, il quadro è completo. Le indiscrezioni circolate su ipotetiche new.co e bad.co non ci fanno affatto stare sereni, perché si rischia di infierire ulteriormente su un territorio già abbastanza provato e, per giunta, tenuto fuori da ogni circuito decisionale e partecipativo rispetto al proprio futuro. Al contrario – ribadisce Lazzàro – assistiamo all’ennesima decisione calata dall’alto, peraltro basata su modelli industriali vecchi e superati”.

L’idea di Confagricoltura, invece, corre su un piano diverso: “Non possiamo più permetterci – sottolinea il presidente – di sbagliare il modello di sviluppo per Taranto, una realtà che ha bisogno di ripartire da scelte nuove: quella che proponiamo noi, un’agricoltura moderna e proiettata nella competizione mondiale, è certamente in antitesi col modello ormai obsoleto della monocultura dell’acciaio”. Infine, Lazzàro sollecita il premier Renzi a tornare a Taranto per parlare “la stessa lingua usata due giorni fa nel Palazzo di vetro dell’Onu, quella della Green economy targata Italia. Qui a Taranto, invece, abbiamo visto e sentito parlare soltanto di “grey economy”, non una semplice questione di cromatismo ma di sostanza”.

 

 

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