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Ilva, Gnudi sulle orme di Bondi

TARANTO – Il commissario Ilva Piero Gnudi prova a correre ai ripari per arrestare l’emorragia finanziaria che attanaglia l’Ilva Spa. Secondo quanto riportato nella pagina economica de “Il Messaggero” di ieri infatti, giovedì scorso Gnudi avrebbe incontrato a Milano i rappresentanti delle tre banche ‘protagoniste’ dell’affaire Ilva: Intesa San Paolo, Unicredit e Banco Popolare.

Soltanto che a differenza del predecessore Bondi, che lo scorso gennaio chiese ai tre istituti di credito di finanziare il piano industriale, l’attuale commissario Ilva avrebbe chiesto un prestito di 60 milioni di euro da ottenere entro la metà di luglio. Il che sarebbe l’ennesima conferma di come gli stipendi di giugno, che Ilva dovrebbe accreditare il 12 luglio, sono a forte rischio. Non solo per la data entro la quale Gnudi ha chiesto di ottenere il prestito, quanto soprattutto per la somma in questione: visto che il monte stipendi mensile pesa sulle casse della società per oltre 52 milioni di euro.

I 60 milioni di euro sarebbero stati chiesti con la forma dello “smobilizzo crediti”. Quest’operazione consente di ottenere dei finanziamenti nel periodo della dilazione concessa, e di delegare a terzi (di solito le banche stesse) la gestione degli incassi dei crediti. È un modo per ottenere liquidità e fare una migliore programmazione aziendale. Lo smobilizzo crediti può configurarsi come “anticipo di portafoglio” o come “anticipo su fatture”. Con l’anticipo di portafoglio la banca permette a coloro che sono in attesa di riscuotere delle somme certe a scadenza, di ottenerne subito l’accredito con un tasso di smobilizzo inferiore rispetto al fido in conto corrente bancario. Con l’anticipo su fatture viene concesso un anticipo su importi dovuti come da fatture emesse o contratti tra imprese. Alla richiesta di Gnudi, le banche (con Unicredit più disponibile, a differenza di Banca Intesa e Banco Popolare che sono decisamente più esposte nei confronti dell’Ilva Spa per crediti pregressi) non avrebbero opposto un rifiuto netto, ma precise condizioni: la più importante delle quali prevede che la linea di liquidità straordinaria venga posta in “prededuzione”. Ovvero ottenendo una sorta di corsia preferenziale nella riscossione del credito vantato, rispetto agli altri debiti contratti dalla società.

La questione rientra nel campo della “Legge Fallimentare in tema di prededucibilità dei crediti da finanziamento nell’ambito del concordato preventivo e degli accordi di ristrutturazione dei debiti”, tematica regolata dall’art. 182-quater della legge stessa modificata nell’agosto del 2012. Nella versione originaria della norma, la prededucibilità spettava ai soli crediti derivanti da finanziamenti concessi all’impresa in difficoltà da banche e intermediari finanziari iscritti agli albi; per effetto delle modifiche la prededucibilità ora spetta a qualsiasi soggetto che abbia erogato finanziamenti all’impresa in difficoltà, sempre che i fondi siano stati concessi “in esecuzione” di concordati preventivi o di accordi di ristrutturazione ovvero “in funzione” della presentazione delle domande di concordato o di omologazione dell’accordo di ristrutturazione. Inoltre, sono diventati prededucibili anche i cosiddetti finanziamenti-ponte concessi dai soci, cioè i fondi erogati dai soci del debitore per consentire a quest’ultimo di presentare la domanda di concordato o il ricorso per l’omologazione dell’accordo di ristrutturazione. La modifica alla legge in questione ha, inoltre, chiarito che la prededucibilità spetta anche ai finanziamenti di soggetti che abbiano acquistato la qualità di socio del debitore in esecuzione di un accordo di ristrutturazione o di un concordato preventivo.

Ora. Il problema nasce dal fatto che non è chiaro se Gnudi abbia o meno la possibilità di agire in questo senso. Cioè se nell’incarico conferitogli da governo lo scorso 5 giugno, sia presente la facoltà e la possibilità di poter stipulare con gli istituti di credito concordati preventivi o accordi di ristrutturazione, come previsto appunto dalla “Legge Fallimentare”.

Inoltre, tornando alle notizie fornite da “Il Messaggero”, è leggermente sceso l’accordato vantato dalle banche nei confronti dell’Ilva Spa. Secondo la Centrale rischi di Bankitalia, aggiornata ad ottobre scorso, Ilva beneficiava dagli istituti di credito di un accordato di 1,855 miliardi, dei quali 1,520 utilizzati: di questi ultimi 534 milioni sono autoliquidanti (factoring, ovvero una tipologia di finanziamento agevolato per le imprese), 769 milioni a scadenza, 7,3 milioni a revoca, 197 di garanzie commerciali e 14 di garanzie finanziarie (con uno sconfino di 2 milioni). Togliendo le garanzie, degli 1,3 miliardi residui, Intesa sarebbe stata esposta per 850 milioni, Banco Popolare per 240, Unicredit 200. Ora invece, l’accordato è sceso ad 1,5 miliardi di euro, dei quali 1,1 utilizzati. Di quest’ultimi, 503 milioni nella forma autoliquidante e 692 milioni a scadenza.

Sia come sia, il prestito di 60 milioni di euro, non servirà a coprire il debito maturato con i fornitori e le imprese dell’appalto-indotto, che secondo Confindustria Taranto ammonta ad oltre 46 milioni di euro. Il ritardo nei pagamenti delle ditte dell’appalto infatti, varierebbe dai 4 ai 24 mesi. E sono tante le imprese che rischiano di chiudere i battenti da un momento all’altro. Insomma: si provano a mettere le così dette “pezze a colori”, in attesa di capire di quale vita vivere. O di che morte morire.

Gianmario Leone (TarantoOggi, 23.06.2014)

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