Su questo l’USB fa alcune considerazioni: “E’ assurdo scoprire dopo quattro mesi dalla sua emissione che l’ente di prevenzione ha redatto una relazione sul caso, “dimenticando” di informare sia il datore di lavoro che le OO.SS. presenti in azienda o firmatarie di esposto sul caso. Non ci risulta tra l’altro che tale documentazione fosse coperta da segreto istruttorio. E’ ancor più sconcertante poi, constatare come in poche settimane lo SPESAL possa escludere qualsiasi correlazione tra le patologie riscontrate sui lavoratori e l’attività lavorativa. Per ovvie ragioni non crediamo onestamente che in un così breve arco temporale si possa effettuare una verifica credibile vista l’entità delle situazioni, degli elementi e dei fattori che bisognerebbe analizzare. Ciò si evince anche dalle parole del prof. Giorgio Assennato, direttore di ARPA Puglia che ha testualmente detto: ‘Se c’è stato un nesso causale tra esposizione ed eccesso di tumori, l’esposizione si è verificata in una finestra temporale remota. E’ quindi necessaria la programmazione e la realizzazione di un rigoroso e serio studio epidemiologico, condotto in modo trasparente da ricercatori indipendenti e qualificati a cui Ilva garantisca pieno accesso ai dati storici, la cui indisponibilità rende impossibile qualsiasi valutazione’.Per poi concludere: ‘Tale studio richiederebbe tempi adeguati, certamente non inferiori ad un anno’. Ilva dal canto suo ha chiarito la propria disponibilità a qualsiasi tipo di accertamento ed eventualmente anche all’evacuazione della zona di lavoro ove le istituzioni incaricate delle indagini lo ritenessero opportuno”. Inoltre l’USB ha formalmente richiesto all’azienda di sottoporre i lavoratori del reparto ad accertamenti sanitari in strutture specializzate e di farsene economicamente carico. Su questo l’Ilva ha si è riservata di dare una risposta in tempi brevi.
dal TarantoOggi del 29 maggio 2014
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