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Ilva, scontro sui vigilantes

TARANTO – La storia dell’Ilva di Taranto è piena di vicende “particolari”. Che molto lentamente stanno venendo a galla, non a caso da quando la famiglia Riva non gestisce più lo stabilimento commissariato dallo Stato. Una di queste è la vicenda di quei lavoratori che sino ad oggi hanno svolto il doppio ruolo di autista dei mezzi aziendali e di vigilanza e custodia del patrimonio aziendale. In tutto sono 179. Nei giorni scorsi infatti, l’azienda ha comunicato ai sindacati l’intenzione di voler riorganizzare il lavoro nel reparto di vigilanza, soprattutto a fronte del fatto che gli autisti sono pochi e ciò comporta non poche problematiche agli operai, che spesso e volentieri arrivano tardi sul posto di lavoro e nei vari reparti, oppure finiscono col perdere i pullman che li riporta in città e nei paesi della provincia ionica dove risiedono.

A fronte della richiesta dell’azienda, i sindacati hanno proposto come soluzione uno scorporo nel reparto vigilanza: ovvero lasciare chi è guardia giurata nel ruolo di vigilantes mentre per tutti gli altri la revoca del porto d’armi (visto che è di certo singolare vedere un autista con la fondina e la pistola) e l’impiego soltanto come autista dei mezzi aziendali, in modo tale da incrementare un reparto in evidente deficit. A questa ipotesi l’azienda ha risposto proponendo l’assunzione di 41 unità applicando la formula dello “staff leasing” che consiste nella somministrazione di lavoro a tempo indeterminato da parte di appositi enti (come le agenzie interinali) ad un’impresa privata (questa formula è stata introdotta nell’ordinamento giuridico italiano dal d.lgs 276/2003, la così detta “Legge Biagi”).

Su quest’ipotesi i sindacati hanno preso tempo, rinviando la decisione all’incontro di ieri dopo aver consultato i lavoratori per decidere insieme sul da farsi. Ma qualcosa non è andato per il verso giusto. In quanto nei giorni scorsi all’Ilva è arrivata una lettera da parte di un avvocato a cui si sono rivolti 6 vigilanti, contrari all’idea proposta dall’azienda. E così ieri Enrico Martino, direttore delle risorse umane di Ilva, rendendo noto durante la riunione l’esistenza di questa lettera, ha anche esposto la decisione dell’azienda: ovvero l’avvio della procedura di mobilità per 57 lavoratori addetti alla vigilanza. Una chiara ritorsione per la lettera ricevuta, che senz’altro non si è rivelata essere una mossa vincente nel pieno svolgersi di una trattativa tra azienda e sindacati. E’ chiaro che lo strappo è ricucibile, ma nello stesso tempo i sindacati hanno subito dichiarato irricevibile e rispedito al mittente la procedura di mobilità. Anche se a differenza di Fim e Uilm pronte a dare l’ok alla proposta iniziale dell’azienda, con la Fiom che ha chiesto tempo per incontrarsi in assemblea con i lavoratori, l’Usb è sul piede di guerra con l’organizzazione che starebbe vagliando la possibilità di promuovere uno sciopero a breve.

Sicuramente nei prossimi giorni le parti si rivedranno per cercare una soluzione, anche perché i sindacati non vedono di buon occhio la proposta dell’azienda che prevede che i dipendenti che resteranno come vigilanti dovranno firmare singolarmente il nuovo accordo. Sia come sia, questa storia denota come durante il ventennio di gestione Ilva da parte della famiglia Riva, sia accaduto di tutto. Non solo in campo di mancato rispetto delle norme ambientali e di manutenzione e risanamento degli impianti, mai effettuati eppure sbandierati ai quattro venti. In molti, troppi, sono stati abituati sin troppo bene. Ed è chiaro che oggi non riescono a digerire un ridimensionamento del loro ruolo.Un ridimensionamento che in un secondo momento, non troppo lontano nel tempo, coinvolgerà anche e soprattutto gli impianti e l’occupazione: e lì non sarà più una questione di scorporo di ruoli. Ma di lavoro che quasi certamente non ci sarà più.

Gianmario Leone (TarantoOggi, 6 marzo 2014)

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