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L’Ilva “scivola” sui piani

TARANTO – In attesa di notizie da Roma in merito al piano ambientale, gli analisti del mercato dell’acciaio italiano continuano i loro studi sull’Ilva di Taranto. Come si ricorderà, il siderurgico tarantino ha ridotto nel 2013 la produzione di circa 2 milioni di tonnellate rispetto al 2012, risultato che si riflette nei dati di Federacciai sulla produzione nazionale di piani, che nell’anno appena trascorso è calata di 2,379 milioni di tonnellate, scendendo a 12,132 milioni di tonnellate (-16,4%). In seguito a questo dato, e al parallelo incremento delle importazioni italiane di piani, il ‘Centro Studi Siderweb’ ha analizzato i dati doganali, per capire chi ha “coperto” le quote del mercato dell’Ilva.

Un trend negativo partito nell’estate del 2012, proseguito poi con la gestione del commissario Bondi intento da mesi nell’operare un profondo cambiamento nella gestione della produzione (dallo stoccaggio dei Riva al “flusso teso”, ovvero produrre solo in base alle commesse). Le conseguenze di questi due eventi sono riscontrabili nei dati di ‘Siderweb’: mentre nel primo semestre del 2012 le importazioni italiane di piani (per piani si intendono lamiere a caldo, nastri, lamiere a freddo, coils e lamiere rivestiti, coils a caldo in acciaio e coils a freddo in acciaio al carbonio) ammontavano a 5,705 milioni di tonnellate, nel 2013 sono salite a quota 7,211 milioni di tonnellate, con un incremento di oltre 1,5 milioni di tonnellate. Ancora più evidente il confronto tra semestri: il primo semestre 2013 ha registrato un dato di import che supera i 4 milioni di tonnellate nonostante la conclamata crisi del settore, con un incremento del 37% rispetto allo stesso periodo del 2012. Nel secondo semestre, invece, il dato supera quota 3 milioni di tonnellate, segnando il risultato più alto dal 2008. Quindi, riassumendo i dati di ‘Siderweb’, nel 2013 l’Italia ha prodotto 2,4 milioni di tonnellate di piani in meno rispetto al 2012, mentre ha importato 1,5 milioni di tonnellate di piani in più. “Supponendo che il milione di tonnellate mancante è da imputarsi alla crisi – sostengono gli analisti -, chi si è preso il milione e mezzo di tonnellate arrivate dall’estero?”.

I dati dell’import dai Paesi europei si riferiscono al periodo gennaio-novembre 2013, in quanto non sono disponibili ulteriori serie storiche, mentre i dati extra-Ue arrivano sino a dicembre. Nel periodo preso in considerazione, l’import dall’Ue è stato di 4,571 milioni di tonnellate di piani in acciaio, con un incremento di 747.000 tonnellate rispetto allo stesso periodo del 2012.

Scendendo nel dettaglio, l’incremento più notevole è stato appannaggio dei coils a caldo (+596.000 tonnellate rispetto all’anno precedente), seguiti dai coils a freddo (+154.000 tonnellate). Quattro i Paesi che secondo gli analisti di ‘Siderweb’ hanno coperto la fetta di mercato persa dall’Ilva: Francia, Germania, Olanda e Austria. Sommando gli incrementi di export verso il nostro Paese di queste quattro nazioni, infatti, si ottiene la somma di 704.000 tonnellate, pari al 94% del totale dell’incremento di import italiano.

In prima fila i francesi (+225.000 tonnellate, delle quali +204.000 tonnellate di coils a caldo e +26.000 di coils e lamiere rivestite), che precedono i tedeschi (+211.000 tonnellate, delle quali 178.000 di coils a caldo e 30.000 di coils e lamiere rivestiti), gli olandesi (+147.000 tonnellate, delle quali 125.000 di coils a caldo e 10.000 di coils a freddo) e gli austriaci (+119.000 tonnellate, delle quali 60.000 di coils a caldo, 30.000 di coils e lamiere rivestite e 15.000 di coils a freddo). Questi quattro Paesi, inoltre, nel complesso assommano esportazioni verso l’Italia per 3,274 milioni di tonnellate, pari al 72% del totale dell’import italiano dai Paesi europei.

Per quanto riguarda invece i paesi extra Ue, nel 2013 le importazioni di piani sono state di 2,640 milioni di tonnellate, contro 1,881 milioni di tonnellate nel 2012. L’incremento è stato di 759.000 tonnellate, per un aumento del 40%. Il prodotto più importato, anche per i Paesi non membri, è il coils caldo, con un volume di 1,525 milioni di tonnellate, pari ad un +73% rispetto al 2012. Anche i coils e lamiere rivestiti registrano numeri importanti, seppur in diminuzione: 613.000 tonnellate (-3%). A farla da padrone è la Turchia, che nel 2013 ha raggiunto le 501.000 tonnellate di export verso l’Italia, contro le 180.000 del 2012, con un incremento di 320.000 tonnellate, delle quali la maggior parte coils a caldo (475.000 tonnellate nel complesso, +177%). Al secondo posto la Russia (+205.000 tonnellate, con i coils a caldo che crescono del 39% e i coils a freddo del 160%), al terzo l’India (+167.000 tonnellate, con i coils a caldo al +234% ed i coils e lamiere rivestiti al +58%), al quarto la Corea (+54.000 tonnellate, grazie al +301% dei coils a caldo) ed al quinto l’Ucraina (+51.000 tonnellate, con i coils a caldo al +57% e le lamiere a caldo al +35%). Nel complesso i cinque Paesi in questione hanno esportato in Italia 1,830 milioni di tonnellate su 2,640 complessivi: manca la Cina che, nonostante un flusso cospicuo di acciai piani verso l’Italia (459.000 tonnellate), vede lo stesso scendere di 18.000 tonnellate rispetto al 2012.

Ciò detto, i dati in questione dimostrano un dato inconfutabile: ovvero che se l’Ilva ha prodotto 2 milioni di tonnellate in meno di acciaio, l’Italia ne ha importate oltre 7 milioni. Il che è un dato tutt’altro che trascurabile. E che va a ricongiungersi con quanto sosteniamo oramai da tempo: ovvero che il siderurgico tarantino ha smesso da anni, non certo da oggi o dall’estate 2012, di produrre acciaio di qualità. Altrimenti non si spiegherebbe il perché tante aziende italiane ricorrerebbero a produttori esteri. Oltre alla qualità, c’è anche il fattore prezzo: rispetto all’Ilva infatti, i tedeschi fanno pagare 1 coils (rotolo d’acciaio) meno di una bramma (barra di acciaio semilavorato). Inoltre questi dati dicono anche un’altra cosa: che tutto questo peso sul mercato italiano l’Ilva, in realtà, non lo ha.

Ed ecco perché il ridimensionamento produttivo ed impiantistico, come ripetiamo da anni, è sempre più vicino. 

Gianmario Leone (TarantoOggi, 25.02.2014)

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