Il protagonista di questa sfida giudiziaria, il cui epilogo è stato riportato dal Nuovo Quotidiano di Puglia e Repubblica, aveva chiesto un risarcimento di 66.105 euro per la svalutazione subita dal suo appartamento (90 metri quadrati), situato nelle immediate vicinanze del siderurgico, “fonte di notevoli immissioni di polveri e gas inquinanti”, come riconosciuto dalla sentenza della Cassazione n. 38936/2005. Quella nota pronuncia aveva accertato l’emissione di polveri inquinanti da parte dello stabilimento. Inquinamento protrattosi per decenni che ha provocato una notevole riduzione del valore patrimoniale dell’appartamento. A nulla sono serviti i tentativi messi in atto dai legali dell’Ilva per rendere nulla l’azione risarcitoria.
Nella sentenza, il giudice afferma di ritenere sufficientemente provato e accertato il nesso causale esistente “tra le illecite (nonché penalmente rilevanti) condotte poste in essere da Emilio Riva e Luigi Capogrosso” e il “disperdersi delle polveri che si depositavano in gran quantità sulle abitazioni, sulle auto, sulle strade del quartiere Tamburi e che, anche per la loro composizione fisico-chimica, erano indonee non solo ad imbrattare, ma anche a cagionare molestia alle persone, mettendone in pericolo la salute”, nella rilevante misura di “21.362 tonnellate annue, pari al 94,9% delle emissioni complessive delle più importanti aziende dell’area industriale”.
Il compito del consulente chiamato ad accertare e valutare l’entità patrimoniale del danno non si è rivelato particolarmente agevole. Tanto che si è reso necessario rivedere i criteri e parametri da utilizzare giungendo alla conclusione che il “deprezzamento patrimoniale” corrisponde al 20% del valore dell’immobile, quindi a 13.880 euro. Ed è questa la somma che Ilva, Riva e Capogrosso dovranno risarcire al caparbio cittadino del quartiere Tamburi. Un piccolo colpo inferto ad un gigante. Il tempo ci dirà se ne seguiranno altri dello stesso genere.
Alessandra Congedo
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