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“All’Anm”, il docu-film sull’Ilva che insegue la speranza

GROTTAGLIE – Sette storie che si intrecciano e un solo filo, robusto, che le lega: l’Ilva. Luciano Carriero, mitilicoltore, ha visto tonnellate di cozze andare al macero perché contaminate da pcb e diossine. Sabrina Corisi ha perso il suo papà a causa di una neoplasia polmonare. Simone La Mura e  Michele Mero sono due operai, come Mauro Liuzzi,  segnato dalla tragica morte di un suo compagno di reparto, impegnato su una gru, nell’indimenticabile giornata del tornado (28 novembre 2012). Viviana Petraroli è una giovane laureata in Scienze dei beni culturali, mentre Christopher Solito è un liceale di Grottaglie. Sono loro i protagonisti di “All’Anm”, il docu-film girato da Carlos Solito, regista grottagliese, supportato in questa avventura da  “Rolling Stone”.

Un evento che non può passare inosservato perché ogni anno, la celebre rivista musicale,  definita “La Bibbia del rock”, sceglie solo un progetto in tutto il mondo, su cui puntare. Stavolta l’attenzione si è concentrata su Taranto e sul  mostro d’acciaio che da decenni sputa veleni.  Come si spiega questa incursione oltre i confini delle sette note? Lo ha spiegato sabato sera, nel corso della presentazione al Castello Episcopio, il web editor di Rolling Stone Italia Beppe Ceccato: “Il nostro giornale non è solo rock. Ci occupiamo di tutto ciò che è anti-conformista. Negli Stati Uniti abbiamo messo in copertina l’attentatore di Boston, una scelta che ha fatto discutere, provocando la reazione anche di alcuni lettori. In realtà, quel numero ha venduto due milioni di copie in soli quindici giorni. Questo perché si è tentato di andare oltre la notizia per mostrare  un’altra faccia del problema. Carlos Solito si è presentato con una proposta che andava in questa direzione. Voleva occuparsi di Ilva senza fare la solita cosa”.

Davanti ad una platea colma di concittadini, Solito ha spiegato così lo spirito del suo lavoro: “Ho vissuto questo cortometraggio come un viaggio che parte da Grottaglie e dai ricordi della mia infanzia. Da quando, con i miei amici, ci arrampicavamo su Monte Pizzuto, che tutto è tranne un monte, ma un’altura che dominava il territorio circostante e da cui osservavamo anche le ciminiere dell’Ilva, che come giganteschi aghi punteggiavano l’orizzonte”. Non è un caso, quindi, che il docu-film si apra proprio con le immagini di un ragazzo che in sella alla sua bici, sulle note di “Sole Spento”, suggestivo brano dei Timoria, si muove da un’altura verde per poi raggiungere la zona 167 di Grottaglie, dove vive Mauro Liuzzi, insieme a tanti suoi colleghi. E proprio dalle parole di questo lavoratore è emersa tutta la complessità della vicenda Ilva, anche alla luce degli ultimi eventi: “Ciò che si avverte nella fabbrica, in questo momento, è un forte senso di apatia. Non è la sensazione che la tempesta sia finita. Anzi. La tempesta deve ancora arrivare, ma non abbiamo gli strumenti giusti per affrontarla”. 

Come sottolineato da Liuzzi, c’è anche la drammatica consapevolezza di tanti operai di essere trattati come dei numeri, pedine di una scacchiera che li spoglia della loro dignità di uomini. Ma la loro dignità, come quella di ogni cittadino di Taranto, va tutelata e riscattata. Così come va recuperata una parola ormai in disuso, soprattutto in riva allo Jonio: speranza. Ed è emblematico che questo messaggio, nel documentario, venga trasmesso proprio da Sabrina Corisi, orfana di Peppino, per anni alle dipendenze dell’Italsider (ex Ilva),  strenuo difensore del diritto alla salute, stroncato in brevissimo tempo da un male incurabile: “Negli ultimi giorni di vita ha gridato forte il suo dolore e ora io voglio portare avanti la sua battaglia. E’ un obbligo verso di lui e nei confronti dei miei figli. Spero che si possa fare qualcosa per il loro futuro”. 

Ed è altrettanto emblematico, infine, che il pensiero più lucido, nell’atrio del Castello Episcopio, sia stato espresso dalla persona più giovane presente sul palco. “Ci sono nodi problematici che Taranto non riesce a sciogliere. Il dibattito sulla città del futuro, qui, non è mai partito  – ha detto il giornalista Paolo Inno, che ha curato le interviste di “All’Anm” insieme ai colleghi Luca Caretta e Mario Paniconon si è mai discusso seriamente e serenamente di progetti alternativi alla grande industria. Prima di costruire un dopo, a Taranto, c’è da costruire un mentre”. Un mentre la cui importanza sfugge ancora a troppi. Ma è proprio dalla definizione di questo mentre che si deve ripartire.

Alessandra Congedo per InchiostroVerde

IL LINK DEL DOCU-FILM: http://www.rollingstonemagazine.it/rr-style/news-rrstyle/rs-reportage-ilva-allanm-il-corto-sul-mostro-di-taranto/

 

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