”Le motivazioni – prosegue la nota dell’Ilva – ricalcano un impianto accusatorio basato sulla pura presunzione di atti e eventi che, in assenza di un normale iter processuale, non trovano concreti riscontri. A questo punto – concludono le due società – non possiamo che augurarci che finalmente si voglia procedere con la normale prassi giudiziaria nei tempi più brevi possibili, fiduciosi che la giustizia possa fare il proprio corso, riconducendo la vicenda nei giusti contorni”.
E’ giusto, a questo punto, fare un passo indietro e riportare quanto asserito dai giudici del Riesame “appare inconfutabile, in ordine ai reati, che l’ammontare delle somme non spese per impedire la produzione degli eventi delittuosi, per mitigarne o comunque eliminarne gli ingravescenti effetti, per ottemperare alle prescrizioni di legge violate, costituisce un indubbio vantaggio patrimoniale direttamente derivante dalla condotta illecita e, come tale, certamente riconducibile alla nozione di “profitto del reato” allorché concretatosi, sostanzialmente, in un risparmio di cui hanno direttamente beneficiato le società ricorrenti”, quindi Riva Fire e Ilva. Inoltre, dalle indagini sull’Ilva è emersa “l’esistenza di una sorta di governo aziendale occulto (non ufficiale) operante all’interno dello stabilimento di Taranto, una struttura ombra costituita da soggetti denominati fiduciarì, che di fatto governavano il siderurgico”.
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