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Taranto, la posizione dei Movimenti su aree demaniali in acquisizione

TARANTO – La battuta sul fatto che aspireremmo ad una mobilità ‘a cavallo’, formulata dal dottor Giangrande, rappresentante dei commercianti tarantini, è simpatica, ed anche gli appellativi di ‘ambientalisti’ e realtà ‘giovanili’ sono degne di nota, se non fosse che conosciamo bene le tecniche per sminuire la valenza dei propri interlocutori e delle loro idee. Sono espedienti mediatici figli della peggior politica, quella del cemento, delle auto dovunque, dei centri commerciali con servizi gratis. Tutte queste pseudopolitiche sono le stesse che guidano le scelte degli ultimi decenni nella nostra città e che, proposte sempre dagli stessi ambienti accreditati, molto semplicemente: hanno già fallito!

Visti i risultati fallimentari degli ultimi anni, non si offenda il dottor Giangrande, ma crediamo che il 30 giugno, data entro la quale dovranno essere presentati i progetti relativi alle aree demaniali, è nostro dovere, come cittadinanza attiva, rilanciare le nostre politiche riguardo a una tematica così importante per il futuro della città; in maniera più seria e lungimirante. Diciamo questo perché, in questi giorni, rimbalza ripetutamente l’opinione di queste associazioni di categoria, la cui proposta può essere riassunta in un unico punto: la costruzione di nuovi parcheggi nel Borgo cittadino al fine di risollevare le sorti delle agonizzanti attività commerciali presenti nella zona. E’ una visione miope e pretestuosa.

Preso atto di ciò, la domanda primaria da porsi è se questa opzione sia la soluzione da adottare al fine di favorire la rinascita commerciale e sociale del Borgo. Nella realtà il problema ha radici profonde: la presenza di parcheggi a pagamento dai costi sproporzionati, soprattutto nel contesto di una realtà economica come quella tarantina, ha già da tempo bruscamente ridotto la fruibilità del Borgo cittadino da parte di cittadini non residenti nelle vicinanze, o che abitano al di fuori della città stessa, con pesanti ripercussioni soprattutto per le attività commerciali. A tutto questo va aggiunto il malfunzionamento dei trasporti pubblici che non facilita, anzi scoraggia, l’utilizzo dei mezzi .

L’ossatura commerciale tarantina, del Borgo e non, è sempre stata caratterizzata da piccole attività, spesso a conduzione familiare, che in un contesto di crisi generale come quella che stiamo vivendo, sono costrette a fare i conti con un problema ancora più grande: la presenza della grande distribuzione. Non è un caso che la nascita di grandi esercizi commerciali ai confini della città, l’ introduzione della sosta a pagamento e la scoordinata organizzazione dei tratti di percorrenza dei mezzi pubblici, abbiano determinato nel tempo l’ aggravarsi della problematica.

Tutto ciò potrebbe bastare per dimostrare come questa proposta si dimostri priva di reale concretezza risolutiva; al tempo stesso l’ enorme opportunità che si presenta richiede una maggiore riflessione, sostenuta da una visione più ampia, volta a innescare una necessaria ricostruzione della città. Per questo sarebbe ora di porre fine alla sinfonia stonata che ripete ossessivamente che più auto e più parcheggi facciano il bene del commercio. Puntare sulle auto per vincere la crisi e la concorrenza dei centri commerciali, significa fare il gioco degli agguerriti concorrenti. Come è stato ampiamente dimostrato fino a oggi, scelte improvvisate dettate dalla frettolosità, più che dalla necessaria attenzione, possono solo chiudere momentaneamente la falla, ma non escludono la concreta possibilità che la voragine si apra nuovamente in un immediato futuro.

L’opportunità di creare nuove infrastrutture sociali e culturali è sicuramente un’ alternativa che non possiamo lasciarci sfuggire; altre realtà nazionali hanno dimostrato come l’ unione tra nuove forme di organizzazione economica e culturale garantiscano un progresso costante e duraturo. E’ di fondamentale importanza che in questa nuova fase propositiva si dia ampio spazio a nuove e radicali idee in grado di soddisfare il bisogno sempre crescente di rinnovamento. Definire come “integraliste” le opinioni espresse dalle associazioni è un atteggiamento dannoso, improduttivo e provinciale, a causa del quale, attraverso scelte decontestualizzate, si è sviluppata la condizione in cui ci troviamo.

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