Come spiegato in un altro articolo, l’inchiesta nasce da una segnalazione della Gdf riguardo anomalie sullo scudo fiscale effettuato nel 2009 dalla famiglia Riva per far rientrare in Italia 1,2 miliardi di euro. Il denaro era custodito in otto trust, gestiti da una fiduciaria svizzera, nel paradiso fiscale di Jersey, dopo essere passato per il Lussemburgo e dopo essere uscito dalle casse dell’Ilva, attraverso operazioni finanziarie – soprattutto compravendita di titoli e realizzazione di plusvalenze – portate avanti in un decennio, tra il ’96 e il 2006. Questi i reati contestati: frode fiscale, riciclaggio, intestazione fittizia e truffa ai danni dello Stato.
Nel suo comunicato Legambiente dice che “l’Ilva continua a non adempiere alle prescrizioni Aia e a chiedere proroghe su proroghe”. Ed aggiunge: “Adesso una parte dei soldi c’è e deve essere utilizzata a Taranto”. Sulla stessa lunghezza d’onda l’intervento di Angelo Bonelli, presidente nazionale dei Verdi: ”Il sequestro dei beni della famiglia Riva e’ una notizia importantissima per Taranto perché quelle risorse rappresentano la garanzia che le bonifiche potranno partire davvero”.
E’ bene precisare, però, che è illusorio pensare che il denaro ricavato dal sequestro disposto dalla Procura di Milano (e non da quella di Taranto) possa essere dirottato per gli interventi di ambientalizzazione e bonifica di Taranto. In questo caso il danneggiato è il fisco. Quindi, da quanto ci risulta, dovrebbe essere il ministero delle Finanze e “destinare” gli eventuali beni soggetti a confisca definitiva al ministero per l’Ambiente. Un percorso per niente scontato. Inoltre, va considerato che siamo ancora in presenza di un sequestro preventivo. Prima che si arrivi alla confisca definitiva ci vorrà del tempo, forse anni. Pertanto nulla è così semplice come può sembrare da queste entusiastiche reazioni.
Alessandra Congedo
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