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Aia Ilva, Peacelink: «Senza investimenti è solo aria fritta»

Abbiamo incontrato il Garante dell’AIA in data odierna e gli abbiamo rappresentato i dubbi in merito all’attuazione delle prescrizioni contenute nell’AIA da parte del management ILVA e alla capacità effettiva delle istituzioni di realizzare i controlli necessari. La storia insegna che spesso si è dato per scontato che l’azienda realizzasse quanto promesso, salvo scoprire in un secondo momento che così non era.
Non basta che il Garante crei un sito web per seguire l’evolversi dell’AIA (Autorizzazione Integrata Ambientale). Il punto è che manca l’impegno di spesa deliberato dal Consiglio di Amministrazione di Ilva per avviare quanto l’AIA richiede. Marca cioè il cosiddetto “piano industriale” con gli investimenti e la relativa copertura finanziaria. L’azienda deve dimostrare di avere i capitali per  fare le cose previste nell’AIA.  Se l’azienda non delibera gli investimenti e non li mette a bilancio, tutto rimane aria fritta. L’AIA è diventato il libro dei buoni propositi senza copertura finanziaria e senza garanzia di realizzazione. E oggi assistiamo al riproporsi della “politica degli annunci” a cui ci hanno abituato da anni. Annunci a cui non seguono fatti. L’AIA è ormai il paravento tecnico dietro il quale si nasconde il nulla.
L’esempio eclatante è quello dalla copertura dei nastri trasportatori, oggetto di un’intesa istituzionale tra la Regione Puglia, gli Enti Locali e l’ILVA nel 2006. Secondo il presidente della Regione Puglia Vendola essa era stata completata. Il governatore si era basato su alcune pubblicazioni dell’azienda stessa, in base alle quali l’Ilva diceva di aver realizzato nel 2009 la copertura dei nastri trasportatori. Il punto è che nessuno era andato a controllare in loco!
La questione di cui parliamo non è tanto tecnica: è una questione di credibilità delle istituzioni.
La storia infinita dei nastri trasportatori fa il paio con il campionamento in continuo della diossina che doveva essere realizzato da quattro anni: nel febbraio 2009. Vendola aveva garantito il campionamento continuo della diossina  addirittura di fronte alla telecamera delle Iene. Ad oggi non funziona ancora. E’ incredibile ma è vero: quattro anni di ritardi! I cittadini non possono andare a controllare, ma le istituzioni che firmano intese o fanno le leggi devono controllare altrimenti perdono di credibilità politica e incorrono – a nostro parere – anche nella corresponsabilità dell‘inquinamento in corso.
Chi omette di controllare qualcosa da cui dipende la salute dei cittadini mette in atto, tramite una condotta fatta di rinvii continui, un comportamento omissivo che a nostro parere è rilevante non solo politicamente ma anche sotto il profilo penale. Venendo all’attuazione dell’AIA concessa ad ottobre 2012,  constatiamo che rimangono ancora scoperti i nastri trasportatori che dovevano essere già coperti nel 2009 e questo è veramente grattesco! I nastri trasportatori trasferiscono le materie prime dell’Ilva dal porto alla fabbrica (nei “parchi minerali”). L’unica parziale e limitata copertura che ci risulta realizzata è quella sopra le arterie stradali. Ma il resto è tutto da fare.
Nonostante la copertura fosse prevista entro il 26 gennaio 2013 (tre mesi dopo la firma dell’AIA in data 26 ottobre 2012) le autorità ora si accorgono che un impegno preso nel lontano 2006 (atto d’intesa Vendola-Ilva) non è stato portato a termine.
Apprendiamo dalla stampa che l’azienda chiede ora una proroga addirittura fino al 2015. Se questa è la “storia infinita” dei nastri trasportatori, possiamo immaginare quale sarà il copione che ci aspetta per i parchi minerali, la cui copertura è ancora più impegnativa e costosa e prevede tre anni di tempo perché sia completata. Tre anni che non hanno alcuna giustificazione tecnica. Vengono offenti tre anni di tempo all’Ilva perché quella copertura costa troppo: un miliardo di euro. E’ un impegno di spesa che l’azienda cerca di rinviare il più lontano possibile nel tempo.
La questione dei ritardi tocca anche il nodo nevralgico dello scarico delle materie prime per l’Ilva nel porto: non è avvenuto il cambio radicale di scarico della nave che superi il rudimentale sistema della benna, che disperde le polveri al vento.
Occorreva in particolare un sistema sigillato che senza benne portasse su un nastro direttamente dalle stive delle navi ai parchi minerali le materie prime, completamente coperto e sigillato, senza dispersione alcuna di polveri, come accade in altri porti evoluti. La questione era urgente dato che nel 2009 la magistratura – a causa dell’inquinamento provocato – aveva posto sotto sequestro quell’area di scarico (con facoltà d’uso). Vogliamo ricordare che il 7 aprile 2011 era stato siglato un accordo fra il sindaco di Taranto Stefàno, il contrammiraglio Giuffrè (Autorità Portuale), il capitano di vascello Zumbo (Capitaneria di Porto) e Archinà (Ilva) allo scopo di adottare “idonei sistemi e procedure atte ad evitare ovvero contenere la caduta in mare di materiale minerale e fossile”. Che ne è stato di quell’accordo?
Tutti questi esempi sono di un’evidenza estrema: bastava controllare per constatare che i lavori non venivano realizzati. Non occorre essere chimici, biologi, pediatri o epidemiologi per rilevare a colpo d’occhio delle inadempienze madornali e macroscopiche. Questo gioco di rinvii deve terminare perché i periti della Procura hanno documentato che a Taranto due persone al mese muoiono per inquinamento industriale. Seguiremo l’AIA non per consentire che sia prolungata di altri mesi questa strage silenziosa ma  per denunciare e smascherare il copione dei rinvii. L’AIA prevederà altri rinvii con la copertura dei decisori politici. Noi riteniamo che continuare a rinviare per mesi o anni mentre esiste un problema sanitario acclarato e incombente sia assolutamente inaccettabile. Ormai il tempo degli annunci è finito. Siamo al capolinea di una storia fatta di continue attese. Chi ha governato si è prestato al gioco e dovrà risponderne ai cittadini e speriamo anche alla magistratura.

Per PeaceLink
Fulvia Gravame
Alessandro Marescotti
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