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Progetti Eni, la Commissione Europea apre due procedure nei confronti dell’Italia

  1. TARANTO – Le questioni ambientali e sanitarie tarantine hanno varcato i confini nazionali finendo sotto la lente di ingrandimento della Commissione Europea. E’ stato il comitato Legamjonici contro l’inquinamento a presentare tra il 2011 e il 2012 due petizioni. La prima, riguardante il progetto Tempa Rossa dell’Eni, denuncia la violazione della direttiva Seveso e del diritto comunitario sulla Valutazione di Impatto Ambientale. La seconda riguarda altri progetti Eni: Hydrocracking, metanodotti e centrale turbogas. Per entrambe sono state aperte procedure di indagine nei confronti dell’Italia.

In questa fase, che si può definire di dibattimento, la Commissione Europea  continuerà a chiedere chiarimenti alle Autorità Italiane sulle presunte violazioni, mentre Legamjonici invierà ulteriore documentazione per supportare le sue denunce. Solo pochi giorni fa Daniela Spera, coordinatrice del comitato, si è recata a Bruxelles per illustrare al Parlamento Europeo i contenuti delle petizioni. Un primo risultato, a livello politico, si è ottenuto con la dichiarazione del presidente della Commissione sulle Petizioni UE. «Dopo il nostro intervento, Erminia Mazzoni ha mandato un messaggio molto chiaro alle autorità italiane – ha dichiarato la Spera – dicendo che l’economia, solo nel nostro Paese, non riesce a tutelare l’ambiente e la salute».

In merito alla petizione sul progetto Tempa Rossa, Legamjonici ha evidenziato un particolare sconcertante: «Al momento del rilascio del parere favorevole Via/Aia (2011) da parte del ministero dell’Ambiente, l’Eni risultava inottemperante a prescrizioni risalenti al 2009 e 2010 sui rischi di prevenzione antincendio. L’autorità competente, infatti, non aveva ancora validato il rapporto di sicurezza presentato dall’azienda». Secondo la direttiva Seveso, in caso di un aggiornamento, il rapporto di sicurezza deve essere inviato “senza indugio”. «Questo progetto prevede un ampliamento dello stabilimento già esistente  – spiega il comitato – ma nessun rapporto di sicurezza sul progetto di nuova costruzione è stato inviato in via preliminare e “senza indugio”».

Legamjonici contesta anche la violazione della direttiva Seveso nella parte relativa all’informazione e alla partecipazione del pubblico. Una carenza che renderebbe nulla l’intera procedura di Via. A preoccupare Legamjonici è anche la costruzione di nuovi serbatoi della capacità di 180 mila metri cubici, accanto alle cisterne già esistenti. Ciò comporterebbe la violazione dell’art. 12 della direttiva 2003/105/CE, che stabilisce una pianificazione urbanistica tale da “non accrescere i rischi per le persone in zone frequentate dal pubblico (come la Statale 106, ndr)”. Ciò, secondo il comitato, comporta una mancata valutazione delle conseguenze di un possibile “effetto domino”, come fenomeno di amplificazione di un incidente rilevante. Per tale motivo si chiede l’annullamento di tutta la procedura Via, propedeutica al rilascio dell’Aia.

La stessa petizione paventa nuovi rischi per l’inquinamento legati all’aumento del traffico di navi petroliere in mar Grande, in seguito a
sversamenti durante la fase di caricamento del greggio, nel corso delle operazioni di lavaggio delle cisterne o come conseguenza di incidenti. «Ciò – ha evidenziato la Spera – potrebbe compromettere la qualità delle acque del mar Grande aggravando il rischio di contaminazione dei prodotti destinati al consumo alimentare come i mitili». Va considerato, infatti, che proprio il mar Grande si accinge ad ospitare il novellame proveniente dal primo seno di mar Piccolo.

Un capitolo importante è riservato proprio al primo seno del mar Piccolo, contaminato da pcb e diossine e quindi sottoposto a un’ordinanza della Asl che vieta il prelievo e la commercializzazione delle cozze. Legamjonici ha esplicitamente chiesto l’intervento della Sanco (Direzione
generale della salute e della tutela del consumatore). Il comitato ambientalista ha contestato la possibile violazione dei Regolamenti Ce n. 852/2004, 853/2004 e 854/2004, relativi alla classificazione e al controllo delle aree di produzione dei molluschi bivalvi, nonché la violazione del Regolamento Ce n. 1881/2006, in vigore fino al dicembre del 2011, per il superamento dei limiti ben oltre il valore di 8 pg/g e la violazione del successivo regolamento che ha fissato limiti più restrittivi per diossine e pcb (6,5 pg/g).

Secondo la Direzione Generale della Sanco, quelle aree non potevano essere classificate perché “a rischio”. «E’ impensabile credere – ha
riferito la Spera – che i molluschi abbiano solo di recente raggiunto livelli di contaminazione oltre i limiti di legge. La Sanco chiederà ulteriore
documentazione alle autorità italiane». Ora che i riflettori della Commissione Europea sono puntati su Taranto occorre attendere con pazienza la conclusione dell’iter, nella speranza che si faccia piena luce su presunte omissioni e gravi disattenzioni, anche nei controlli, da parte delle istituzioni italiane (ad ogni livello). «Per noi la storia non finisce qui – ha concluso la Spera – andremo avanti finché non vedo risultati concreti».

Alessandra Congedo 

 

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