Sul piano economico, l’azienda sostiene che l’effetto del provvedimento blocca l’attività di tutti quegli impianti che lavorano i semilavorati prodotti dagli altiforni dello stabilimento di Taranto. Ovvero i famosi coils a caldo in parte utilizzati dall’area cosiddetta a freddo dello stesso stabilimento di Taranto e dagli altri stabilimenti del gruppo situati a Genova, Racconigi (CN), Salerno, Novi Ligure (AL), Patrica (FR), Salonicco (Grecia), Senas (Francia) e Biserta (Tunisia).
Tutto questo si scarica sugli utilizzatori finali in termini di maggiore rigidità e incertezza nelle consegne, tempi di pagamento più ridotti, quindi maggiori costi di approvvigionamento. Eppure, dallo scorso 5 dicembre l’Ilva è rientrata in possesso degli impianti dell’area a caldo e può produrre, movimentare e commercializzare l’acciaio realizzato senza alcuna restrizione. E all’interno dell’Ilva ci sono tantissimi spazi inutilizzati dove spostare il materiale sequestrato sino al pronunciamento finale della Consulta. Dunque, il problema non si capisce bene dove sia.
Per quanto attiene invece il piano finanziario, l’impatto del blocco delle merci, per un valore superiore a 1 miliardo di euro, equivale ad una riduzione di circa il 20% della liquidità annuale necessaria a pagare gli stipendi dei lavoratori e le forniture, con un peggioramento significativo della posizione finanziaria netta, già ampiamente negativa. Ma qualcuno dovrebbe spiegarci dove va a finire il restante 80%. Ciò costringe l’Ilva ad aumentare il ricorso al credito, con conseguente peggioramento dell’indice di indebitamento visto che i debiti finanziari complessivi sono prossimi ai 3 miliardi di euro, pari a 1,3 volte il capitale netto. Ma attenzione: perché solo il 25% dell’esposizione é nei confronti delle banche, perché il restante 75% riguarda debiti con altre società del Gruppo Riva. Ecco perché la riduzione della liquidità dell’Ilva rischia di ricadere più sul gruppo che sulle banche, con un effetto finanziario rilevante sulla capogruppo (l’Ilva SpA) e sulle altre società esposte nei confronti dell’Ilva. Il rischio è quindi di un effetto domino che potrebbe mettere alle corde, ben presto, tutto il Gruppo Riva.
G. Leone (TarantoOggi, 24.01.2013)
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