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Emergenza cozze, mitilicoltori ancora in attesa di verità e giustizia

TARANTO – Cozze alla diossina. Quel marchio continua a bruciare sulla pelle dei mitilicoltori tarantini. Dal 22 luglio 2011, quando è scattato il primo divieto di commercializzazione delle cozze del primo seno di mar Piccolo, in tanti si sentono degradati a lavoratori di “serie B”, senza tutele e santi in Paradiso. Tra questi c’è Luciano Carriero, titolare della cooperativa “Cielo Azzurro”, messa in ginocchio dall’emergenza ambientale, ed ancora in attesa del trasferimento in mar Grande, dove spera di regalarsi un nuovo inizio.

«A quasi due anni di distanza da quel drammatico giorno, siamo ancora in attesa di verità e giustizia – spiega Carriero – l’estate scorsa, la Procura ha incaricato Arpa Puglia di indagare sulle sostanze inquinanti rinvenute nei mitili del primo seno per verificare se esiste un collegamento con la diossina prodotta dall’Ilva, così com’è accaduto per i capi di bestiame contaminati. Da allora, però, non si è saputo più nulla». C’è poi il discorso legato alle bonifiche: «Vogliamo sapere che fine hanno fatto gli stanziamenti del Governo – continua il mitilicoltore – ci hanno promesso milioni di euro anche per il recupero del mar Piccolo, ma quando passeranno dalle parole ai fatti?».Ed è questo uno dei punti cruciali della vicenda: i mitilicoltori vogliono tornare a lavorare nel primo seno, dove hanno sempre prodotto la cozza più buona e apprezzata, ma la situazione appare completamente stagnante.

«La politica è assente, a tutti i livelli – attacca Carriero – le istituzioni ci hanno completamente abbandonato. Sembra che soltanto il lavoro degli operai dell’Ilva abbia una dignità. Noi, invece, possiamo anche morire di fame». E poi chiede: «Quando si partirà con la messa in sicurezza delle falde acquifere e delle aree contaminate che si trovano nella zona dell’Arsenale Militare? Per quanto tempo ancora dovremo aspettare? Chi sono i responsabili di questi ritardi?». Da qui l’appello ai politici locali: «Per una volta facciano gli interessi della collettività, ci aiutino a recuperare il nostro bene più prezioso: il mare. Noi siamo pronti a ripartire, ma non possiamo farlo da soli».

Anche per il trasferimento in mar Grande l’odissea non è ancora terminata. Pur essendo ormai in possesso dell’agognata concessione, Carriero non può ancora operare nelle nuove aree perché manca un nulla osta del ministero delle Politiche agricole che autorizzi la sua imbarcazione alla mitilicoltura. Un altro ostacolo burocratico che rischia di ritardare di settimane il ritorno all’attività. Il Tavolo tecnico regionale ha indicato febbraio 2013 come scadenza per il trasferimento, altrimenti si rischia una nuova contaminazione del novellame tuttora allevato nel primo seno. «Finora le analisi effettuate dalla Asl su pcb e diossine hanno dato esito conforme – conclude Carriero – ma non possiamo correre il rischio di perdere una nuova annata. Per noi sarebbe la mazzata finale».

Alessandra Congedo

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