Per risorgere bisogna cadere a terra e il funerale organizzato dal comitato dell’apecar porta il feretro sotto Palazzo di Città. In quella bara c’è il gregge abbattuto dell’allevatore Vincenzo Fornaro, ci sono le tonnellate di mitili bruciate di Luciano Carriero, ci sono le decantate alternative che non possono rinascere. Sono funerali di una città, non certamente di Stato. Qui non ci sono grandi personalità da commemorare. Sono esequie private di un territorio mentre lo Stato ha già “decretato” la propria omelia.
Una forma di protesta simbolica e provocatoria per ricordare quei mestieri e quei prodotti che qui sono stati cancellati dalla grande industria. Una processione che non fermerà chi ha già deciso, sicuramente. Ma questo fa parte della storia di questa città. Ed è un’altra storia. Come detto, però, sabato ce ne sarà un’altra. Una manifestazione diversa con contenuti altrettanto differenti. Si celebrerà la Taranto Libera. Più che una celebrazione, un auspicio. Un auspicio condito, magari, da molte più persone rispetto a ieri. Una cartolina più corposa da recapitare a chi firma, fa e disfa. E a proposito, una “cartolina da Taranto” era depositata nella bara. Un disegno, più che altro. Con fumi e ciminiere che nascondono i due mari.
Per il giorno 15 è prevista la partecipazione di delegazioni da altre parti d’Italia. Da Bari, da Lecce ma anche da diverse città del Nord. Resta da capire la risposta di Taranto e dei tarantini. Quella proveniente dalle stanze romane, invece, già si conosce.
Alessio Pignatelli
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