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Ilva, chi torna al lavoro su una gru (Il Manifesto)

Alle 5.50 di ieri l’Ilva ha fermato l’altoforno 1. Un intervento annunciato mesi addietro dall’azienda, inserito come novità nel piano di risanamento da 400 milioni del 18 settembre e bocciato da custodi giudiziari, Procura e gip, ed in ultimo inserito come prescrizione nell’Autorizzazione integrata  Imbientale (AIA) rilasciata all’Ilva lo scorso 26 ottobre dal ministero dell’Ambiente. Con l’AFO 1, sono state fermate anche le batterie 5 e 6 che alimentano i 90 forni dell’impianto.

La ristrutturazione dovrebbe durare 18 mesi per una spesa totale di 270 milioni.Intanto, in queste ore l’Ilva è alle prese con l’emergenza dovuta al mancato scarico delle materie prime per i parchi minerali: impasse che qualora non dovesse essere risolta, costringerà l’azienda ad interrompere le attività entro giorno 13. Lo stato di emergenza è scattato dopo gli ingenti danni provocati dal tornado abbattutosi su Taranto la scorsa settimana sugli impianti Ilva presenti sui due sporgenti del porto in dotazione all’azienda. Delle otto gru adibite allo scarico del minerale, soltanto una, venerdì sera, ha ripreso a funzionare attraverso l’ausilio di un radiocomando arrivato dalla Svezia.

Una seconda gru ha ripreso a funzionare ieri pomeriggio sempre attraverso il radiocomando, mentre una terza dovrebbe ripartire domani. Il ricorso ai radiocomandi da terra si è reso necessario perché le cabine delle gru sono state divelte dal tornado mentre altre risultano inagibili. Sulle altre gru, invece, l’azienda sta provando a convincere il personale a riprendere le attività: ma dopo l’incidente mortale causato dal tornado – vittima il gruista Francesco Zaccaria – i lavoratori hanno fatto sapere ai sindacati che risaliranno sulle gru soltanto dopo le precise garanzie di sicurezza.

Nella giornata di ieri, fonti sindacali parlavano di dieci unità che avrebbero dato la loro disponibilità a risalire sulle gru, dopo che l’azienda ha dichiarato di aver fatto eseguire sulle gru diverse verifiche tecniche e strumentali, anche da società esterne, che non avrebbero segnalato alcun problema specifico sulle parti strutturali e sui dispositivi degli impianti.

Attraverso l’utilizzo del radiocomando, la scorsa notte sono state scaricate appena 3mila tonnellate di materie prime: con la macchina tornata in attività ieri però, dotata di una portata maggiore, l’Ilva conta di incrementare il rifornimento dei parchi, che al momento contengono poco più di 600mila tonnellate di minerali. L’Ilva ha dichiarato di dover scaricare tra le 40 e le 50mila tonnellate di materie prime giornaliere per garantire la regolare marcia degli altiforni, che dopo il fermo di AFO 1 sono scesi a tre, il 2, il 4 e il 5, essendo il 3 da tempo inattivo.

Ma sono giorni di grande tensione anche sul fronte giudiziario. Domani il gip del Tribunale Patrizia Todisco potrebbe depositare la decisione sull’istanza di dissequestro del prodotto finito e semilavorato (un milione e 700mila tonnellate di acciaio, valore 1 miliardo di euro) al quale sono stati posti i sigilli il 26 novembre. La procura ha dato parere negativo, sostenendo che la produzione è stata realizzata con gli impianti sotto sequestro senza facoltà d’uso e quindi “contra legem”.

Di conseguenza, per i Pm non si può invocare il decreto legge del governo per tornare in possesso di quei beni perché il provvedimento è entrato in vigore il 3 dicembre e non avendo la legge effetto retroattivo, solo dal 4 dicembre la produzione è legittima. Sulle aree Ilva rischiano dunque di restare bloccati dai sigilli giudiziari semilavorati, coils e lamiere (già venduti) destinati ai siti Ilva di Genova e di Novi Ligure, che senza questi prodotti rischiano di fermarsi a Natale.

Ma sempre domani, il gip potrebbe decidere di non esprimersi sul dissequestro impugnando il decreto legge sollevando l’eccezione di incostituzionalità, mentre la Procura potrebbe fare ricorso sollevando il conflitto di attribuzione fra poteri dello Stato. In attesa di conoscere le sorti del vice presidente di Riva Fire, Fabio Riva, che da giovedì a disposizione delle autorità inglesi, ma di fatto ricercato dal 26 novembre, per il quale potrebbe scattare il mandato di arresto europeo.

Gianmario Leone (Il Manifesto)
 

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