TARANTO – E’ amaro e disperante sapere che, dopo il Decreto “salva Ilva”, firmato nella versione definitiva dal Presidente della Repubblica, a Taranto parecchi sono stanchi di parlare e manifestare soltanto e invano e decidono di uscire di scena, come i morti e gli ammalati, per dedicarsi a chiedere, a modo loro, di avere almeno strutture degne per curare i malati e i sopravvissuti e per lenire le ferite inferte alla salute ignorata e calpestata, ricordata solo perchè c’era qualcuno che il suo dolore lo metteva in piazza. Questo accade mentre assistiamo al “gioco del cerino” tra Ilva e Istituzioni su chi e come deve dire BASTA e a quale prezzo.
L’AIA divenuta legge non è idonea anche per grossolane carenze nelle prescrizioni tecniche di alcuni impianti (ad esempio le acciaierie), per insistite superficialità (ad esempio la capacità produttiva annua fissata quasi allo stesso valore della produzione annua effettiva degli ultimi anni o il “regalo” di un anno sulla durata dell’AIA).
Ci sono anche evidenti omissioni, ad esempio si omette di precisare che si intendono incluse nell’AIA e quindi nel Decreto le prescrizioni derivanti dalla seconda parte del “riesame” dell’AIA datata 4 agosto 2011 relativamente a acque, discariche e bonifiche. Altre importanti omissioni sono quella relativa alla fideiussione di garanzia da parte di Ilva e, in alternativa, quella relativa a provvedimenti in caso di non accettazione dell’AIA da parte di Ilva.
Noi restiamo convinti che sia sbagliata e non risolutiva la strada imboccata con il Decreto “salva Ilva”, motivata dalla prevalente preoccupazione per la salvaguardia dei livelli occupazionali e per l’ordine pubblico: è solo un modo per prendere tempo, non per risolvere il problema che, onestamente, non si sa come risolvere senza morti e feriti, in ogni senso.
Il Direttivo di Altamarea Luigi Boccuni, Mino Briganti, Simona Carone, Biagio De Marzo, Pierpaolo Fiume, Giacomo Raffaelli, Massimiliano Saracino.
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