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Ilva, un decreto per “salvarla”

TARANTO – Come avevamo anticipato ieri, la partita sul futuro dell’Ilva è ancora tutta da giocare. Con il governo tecnico pronto a varare un decreto legge ad hoc per l’applicazione dell’Autorizzazione integrata ambientale (AIA) da presentare giovedì a parti sociali e istituzioni locali nell’incontro pomeridiano che si svolgerà a Palazzo Chigi, prima dell’esame il giorno dopo, venerdì, in Consiglio dei Ministri. A prendere in mano le redini della situazione è stato il premier in persona, Mario Monti, che nella serata di ieri ha incontrato il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, per discutere della vicenda Ilva. Sin qui, niente di nuovo sotto il sole.

Chi continua ad avere le idee “confuse” invece, è il ministro dell’Ambiente Corrado Clini, che ha definitivamente sposato la linea di pensiero adottata dall’Ilva, secondo cui l’azione della magistratura impedirebbe, nei fatti, l’applicazione delle opere e degli interventi di risanamento sugli impianti dell’area a caldo previsti dal riesame dell’AIA. Ora. Ancora una volta siamo costretti a ripeterci. L’azione della Procura di Taranto non impedisce in alcun modo all’Ilva di iniziare le attività di risanamento e di bonifica previste dall’AIA rilasciata lo scorso 26 ottobre. Anche perché, qualora qualcuno lo avesse dimenticato, il sequestro preventivo dell’area a caldo, con il conseguente divieto di produrre e l’ordine di fermata e spegnimento degli impianti dell’area a caldo imposto all’Ilva, è funzionale al risanamento degli stessi per un loro ritorno all’attività produttiva evitando che continuino a diffondere quelle emissioni diffuse e fuggitive che hanno generato nella popolazione fenomeni di malattia e morte: ovvero il reato penale che la Procura persegue e che non permetterà mai che venga reiterato.

La verità, dunque, è come sempre un’altra. Perché l’AIA, così come il piano tecnico presentato dall’Ilva per ottemperare alle prescrizioni della stessa ed approvato dalla commissione del ministero dell’Ambiente (di cui fanno parte anche Comune e Provincia di Taranto, nonché la Regione Puglia), altro non è che un tentativo di aggirare il provvedimento principale adottato dalla Procura: la non facoltà d’uso degli impianti per quanto concerne l’attività produttiva. Sì, perché guarda caso, il tutto è stato studiato per far sì che la produzione dell’acciaio griffato Ilva, difeso a spada tratta da tutta Italia, non si arresti nemmeno per un giorno. Esempio banale, ma molto chiaro: “stranamente”, le attività di rifacimento dell’altoforno 1 avranno una durata di 12 mesi, ma per “problemi” di bilanciamento tra produzione coke e produzione ghisa, anche in relazione alle attività da realizzare sulle batterie 10 e 11, l’altoforno 1 sarà rimesso in esercizio a giugno 2014 in occasione della fermata dell’altoforno 5. A dirlo, non siamo noi: ma l’autorizzazione integrata ambientale e il piano tecnico dell’Ilva. Che, come si può intuire sin troppo facilmente, non tengono minimamente conto del fatto che la facoltà d’uso degli impianti dell’area a caldo non c’è.

Dunque, è chiaro che il decreto legge non servirà per far applicare l’AIA all’Ilva, ma per ribadire che la produzione dell’acciaio non si può e non si deve fermare. Al massimo, può essere limitata, ma non fermata. E’ chiaro quindi che, stando così le cose, lo scontro non cesserà: tutt’altro. Probabilmente il governo starà pensando alla nomina di un Commissario straordinario che coordini e visioni i lavori di risanamento e bonifica presenti nell’AIA: soluzione intelligente, visto che è impensabile che la Procura si privi dell’azione dei custodi giudiziari o che possa dissequestrare gli impianti in un prossimo futuro restituendoli nelle mani dell’azienda. Ciò che sconcerta, ma che non sorprende, è la veemenza con cui lo Stato, i sindacati, gli enti locali, Confindustria, il mondo economico tutto e i territori legati a doppio filo alla produzione dell’Ilva di Taranto, difendano l’acciaio e i suoi padroni: mentre non una parola di indignazione, né un decreto legge ad hoc, né un intervento serio e deciso è stato previsto per quanto concerne la situazione ambientale e sanitaria di Taranto.

I dati della perizia epidemiologica e dello studio Sentieri (solo per citare gli ultimi studi), in attesa di conoscere quelli del registro tumori 2006-2008, hanno trovato spazio e attenzione per un paio di giorni appena. Come se ammalarsi e morire per i tarantini fosse un “dovere di Stato”: o al massimo un effetto collaterale di ciò che viene definito un “sito strategico nazionale” in campo economico. L’obiettivo è tutelare un interesse “comune” che in realtà altro non è che il potere di pochissimi. Che non potrà essere salvato a lungo da un semplice decreto legge. Nel luglio scorso, scrivemmo di come fosse in atto un “colpo di stato silenzioso”: oggi, a pochi mesi di distanza, è tutto sotto la luce del sole. Taranto diventerà un “sito di interesse strategico nazionale”, presidiato dai militari e con accesso limitato, per consentire che l’attività produttiva continui nonostante il sequestro in atto. “Democrazia: non essendosi potuto fare in modo che quel che è giusto fosse forte, si è fatto in modo che quel che è forte fosse giusto” (Blaise Pascal).

Gianmario Leone (TarantoOggi del 28-11-2012)

 

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