Ilva, ecco l’Aia “2” (che non servirà)

TARANTO – Probabilmente, ora che è riuscito nel suo intento, il ministro dell’Ambiente Corrado Clini potrà ragionare a mente fredda sull’inutilità di quanto fatto sinora. Solo il ministro infatti, sostenuto da un esercito di fiancheggiatori come le istituzioni, i sindacati, Confindustria, l’intera filiera dell’economia metalmeccanica italiana e tutte le aziende Ilva e non che vivono grazie all’acciaio del siderurgico tarantino, può ritenersi soddisfatto di aver messo nero su bianco un’AIA a metà: il documento messo a punto dalla commissione IPPC infatti, riguarda soltanto la qualità dell’aria. Manca, invece, l’esame su discariche, rifiuti e acque, per cui servirà un provvedimento successivo, a tutt’oggi ancora in fase istruttoria, con il quale verrà aggiornata l’AIA del 4 agosto 2011, in riferimento alle misure ulteriori da adottare per il risanamento delle discariche interne allo stabilimento, la gestione dei rifiuti e la protezione della qualità ambientale delle acque.

Solo il ministro Clini può ritenersi soddisfatto nello stare per concedere un’autorizzazione, seppur riveduta, ad un’azienda che dallo scorso 26 luglio ha un’intera area e decine di impianti sotto sequestro giudiziario per disastro ambientale colposo, i cui proprietari dalla stessa data sono agli arresti domiciliari. “Dimenticando”, tra l’altro, che nel caso in cui il Gruppo Riva dovesse decidere di attuare tutte le prescrizioni in essere (cosa che siamo certi non avverrà), il tutto dovrà avvenire senza che l’Ilva possa continuare a produrre: nemmeno al minimo. Appare davvero un controsenso assoluto infatti, pensare che impianti che inquinano producendo, possano essere risanati mentre sono in funzione: qualunque mezzo meccanico nel mondo, del resto, viene riparato in funzione da spento. Non si capisce come e perché questo non debba avvenire per degli impianti mastodontici e inquinanti di un’acciaieria. Ciò detto, visto che siamo in tempi di “rivoluzioni copernicane”, andiamo a vedere nel dettaglio in cosa consistono queste “innovative” prescrizioni. “Fermata e rifacimento dell’altoforno Afo5 entro il 30 giugno 2014”: primo errore, visto che per i custodi e la Procura, deve essere fermato sin da subito. “Produzione limitata a 8 milioni di tonnellate di acciaio l’anno, anziché 15”: ma quando mai l’Ilva è stata in grado di produrre 15 milioni di tonnellate d’acciaio in un anno? L’anno scorso si è fermata ad 8,5, mentre il record assoluto è di 10: dunque, dire che la produzione è dimezzata del 50% è una colossale bugia.

Tra le altre disposizioni, “la copertura del parco minerali primario, il più esteso, entro tre anni con progetto esecutivo da farsi entro tre mesi a partire dal 30 ottobre prossimo e la riduzione della produzione di circa il 30 per cento”: in pratica, un copia ed incolla dal piano presentato dall’Ilva e bocciato da custodi, Procura e GIP. “E ci sarà un piano per monitorare e tutelare la salute dei cittadini”: entro quando non è dato sapere. Per l’Ilva, ci vorranno 8 mesi soltanto per l’installazione delle centraline perimetrali. “Tra gli interventi strutturali da avviare entro il 2013, la rete di idranti, gli spara nebbia, copertura completa dei nastri e copertura del calcare”. Sempre per i parchi, previsto “l’abbassamento e arretramento dei cumuli di 80 metri dal muro di cinta”: per metterli dove, non è dato sapere. In più, “copertura dei cumuli di materiali polverosi.

Nei giorni più critici, i cosiddetti wind days, bisognerà ridurre le operazioni del 10%, predisporre una doppia dose di filmatura, la bagnatura doppia delle piste e la riduzione della velocità dei veicoli del 50%”: i famosi wind days, al centro del Piano di risanamento dell’aria pensato dai tecnici della Regione, hanno fatto breccia anche nella commissione IPPC. Peccato che nessuno, sino ad ora, ha spiegato in che modo avverrà tale riduzione, peraltro così precisa nei numeri. Né chi stabilirà quando siamo in presenza di un “wind day” e quando no; stendiamo un velo pietoso sulla querelle della filmatura e sulla velocità dei mezzi, perché ci sembra un’offesa all’intelligenza di operai e cittadini.

Unica nota positiva, il che è tutto dire, è che l’AIA stabilisce lo stop “al pet coke tra le materie prime di lavorazione”; poi l’avviamento delle procedure di spegnimento per 6 delle 10 batterie delle cokerie (la 3-4-5-6-9-10): guarda caso, mancano la 11 (prevista dai custodi) e la 12 che alimentano l’AFO 5 (lo spegnimento dell’AFO 1 avverrà entro i primi di novembre ma era già stato programmato da tempo dall’azienda). Il ministro asserisce inoltre che tali interventi serviranno a ridurre l’impatto inquinante e a salvaguardare la salute dei cittadini di Taranto. Ma evidentemente ignora (perché non è stato adeguatamente informato), che in passato, anche con una produzione minore, l’Ilva ha sforato diversi limiti di inquinanti, tra cui quello del benzo(a)pirene, che come il buon Clini sa è un potente cancerogeno appartenente alla famiglia dell’IPA, prodotta dalla cokeria Ilva (come appurato da ARPA Puglia nel 2010).

Per adeguarsi a queste prescrizioni, il ministro Clini ha previsto un tempo massimo di 4 anni: peccato che l’ordinanza del GIP Todisco, confermata dal tribunale del Riesame, impone che sin da subito cessino le emissioni inquinanti che “provocano fenomeni di malattia e morte” nella popolazione tarantina: l’AIA, invece, prevede che l’Ilva soltanto nell’arco dei prossimi anni riduca le emissioni inquinanti applicando le migliori tecnologie disponibili. E qui vi è un altro snodo fondamentale della vicenda: sulle migliori tecnologie disponibili, la scelta finale spetta all’azienda, specie da un punto di vista economico. Il che vuol dire che l’Ilva, se mai accetterà di intervenire, sceglierà le tecnologie meno costose e impegnative dal punto di vista tecnico. Inoltre, la perizia dei chimici ha posto come parametro di valutazione di base le migliori tecnologie in assoluto, previste dall’articolo 8 della normativa sull’AIA (d. lgs. 59/2005), che recita testualmente: “Se, a seguito di una valutazione dell’autorità competente, che tenga conto di tutte le emissioni coinvolte, risulta necessario applicare ad impianti, localizzati in una determinata area, misure più rigorose di quelle ottenibili con le migliori tecniche disponibili, al fine di assicurare in tale area il rispetto delle norme di qualità ambientale, l’autorità competente può prescrivere nelle autorizzazioni integrate ambientali misure supplementari particolari più rigorose, fatte salve le altre misure che possono essere adottate per rispettare le norme di qualità ambientale”.

Clini, inoltre, persevera in un errore davvero banale: ovvero auspicare che “azienda, Procura e GIP possano giungere a soluzioni non conflittuali”. Dimenticando che la Procura non è un organo politico con il quale ci si siede a tavolino e si “mercanteggia”. Il ministro ha poi concesso un’apertura su un’eventuale revisione del testo, quando “sarà definito il documento per la valutazione del danno sanitario previsto dalla legge della Regione Puglia”, i cui tempi di realizzazione nessuno conosce. In più, dopo essersi convinto che i Tamburi sono stati costruiti dopo la nascita del siderurgico, Clini dimostra di conoscere in toto le strutture di Taranto: “con l’Istituto Superiore di Sanità, l’Organizzazione Mondiale della Salute e il ministero della Salute stiamo mettendo a punto un piano per la protezione della salute in collaborazione con la Regione che ha già pensato a una struttura ad hoc”: che sarebbe l’ex ospedale Testa, a due passi dai serbatoi della raffineria ENI. Perla, o forse sarebbe meglio dire barzelletta finale: solo per ottemperare a tali prescrizioni, il Gruppo Riva dovrebbe investire dieci miliardi di euro: dobbiamo proseguire? Prima che il decreto sia firmato dal ministro Clini, l’AIA dovrà superare l’esame della Conferenza dei Servizi del prossimo 18 ottobre. Soltanto dopo, forse, il ministro della Salute Renato Balduzzi, dato per latitante, si degnerà di venire a Taranto per presentare i dati sullo studio Sentieri (2003-2008 con eventuale aggiornamento al 2009). Taranto e i suoi morti, dunque, possono ancora attendere. Nella speranza che questa farsa finisca il più presto possibile.

Gianmario Leone (TarantoOggi del 13 ottobre 2012)

 

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