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Ilva, spegnete quel forno

TARANTO –  “La richiesta dell’Ilva è sconcertante”. Non usa mezzi termini il GIP del Tribunale di Taranto, Patrizia Todisco, nel decreto con cui ieri ha bocciato il piano di interventi proposto dall’Ilva, al quale era allegato un’istanza della società che chiedeva di poter mantenere una minima capacità produttiva, nonostante il sequestro dell’area a caldo, considerandola indispensabile per sostenere finanziariamente il piano da 400 milioni di euro. Ma sia per i custodi, che hanno giudicato il piano “totalmente insufficiente”, che per i pm, questa istanza altro non era che una vera e propria richiesta di facoltà d’uso, sia pur ridotta, che avrebbe modificato la natura dell’ordinanza di sequestro dello stesso gip, confermata anche dal tribunale del Riesame. Per questo, nei giorni scorsi, la Procura aveva espresso un parere obbligatorio ma non vincolante, lasciando l’ultima parola al GIP. Il decreto, lungo 15 pagine, riprende il parere dei pm (oltre a molti passaggi della decisione del Tribunale del Riesame del 7 agosto) che si erano espressi dopo aver preso visione delle relazioni dei custodi amministratori giudiziari, confermando che le disposizioni del pm per l’attuazione del provvedimento sono perfettamente in linea con quanto affermato dal Tribunale del Riesame.

“E’ inaccettabile” scrive il gip, il ragionamento portato avanti dall’Ilva che “ha chiesto l’autorizzazione all’attività produttiva, non quantitativamente precisata, finalizzata sostanzialmente alla sostenibilità e alla realizzazione del risanamento, come se ci fosse una inesigibilità economica”. La minaccia velata avanzata dall’azienda dunque, non ha colto nel segno. Perché non è credibile che il Gruppo Riva che per anni ha fatturato miliardi di euro, oggi sostenga la tesi che per un piano investimenti di 400 milioni sia assolutamente necessario continuare a produrre, come se si trattasse di una copertura o garanzia finanziaria legata alla volontà dell’azienda. Il GIP condivide quanto evidenziato dalla Procura nel suo parere dove “con amarezza” si rileva che l’Ilva si impegna solo adesso quegli interventi e quei i lavori, “comunque non risolutivi”, che erano già stati previsti da atti di intesa stipulati alcuni anni fa tra l’azienda, le istituzioni e i sindacati, “evidentemente mai realizzati”.

Atti d’intesa che la Procura e il Gip avevano già definito “una colossale presa in giro”. Nelle conclusioni del decreto, il GIP scrive che “non c’è spazio dunque per proposte al ribasso da parte dell’Ilva circa gli interventi da svolgere e le somme da impegnare. I beni in gioco, salute, vita e ambiente e anche il diritto a un lavoro dignitoso ma non pregiudizievole per la salute di alcun essere umano, lavoratore compreso, non ammettono mercanteggiamento”. Il giudice tarantino ha inoltre rigettato la richiesta di revoca degli arresti domiciliari per Emilio e Nicola Riva, ex presidenti Ilva, nonché proprietari dell’azienda, e dell’ex direttore dello stabilimento Luigi Capogrosso. Non si è fatta attendere la reazione dell’azienda, con il presidente del Cda Bruno Ferrante che si è detto sorpreso dalle parole espresse dal GIP nel decreto, sostenendo come il piano di 400 milioni fosse soltanto l’inizio di un crono programma molto più vasto e articolato, che l’azienda aveva in mente di portare avanti. Non solo: perché Ferrante ha lanciato ombre sul futuro dell’azienda.

“Avevamo previsto il fermo dell’altoforno 1 senza ripercussioni sui livelli occupazionali. Naturalmente se ci verrà chiesto di intervenire sull’altoforno 5, lo scenario cambierà completamente, non soltanto per noi”. L’AFO 5, infatti, è il più grande d’Europa ed è fondamentale nel ciclo produttivo dell’Ilva: per questo motivo Fim Cisl e Uilm Uil di Taranto hanno proclamato per oggi e domani scioperi tra sei e otto ore, a seconda dei turni, con manifestazioni esterne “alla luce del forte clima di tensione tra i dipendenti Ilva, che vedono a serio rischio la tutela del proprio posto di lavoro”. Restando fedeli al principio di eco-compatibilità: risanare senza fermare la produzione non è impossibile; arrestare la produzione vuol dire spegnere le speranze e il futuro dei lavoratori”.

Dimenticano però come l’azienda negli ultimi quattro anni, a causa della congiuntura economica negativa per il mercato dell’acciaio, abbia fermato l’AFO 1 e 4, l’acciaierie 1 e 2: dunque non appare credibile che oggi tali fermate possano decretare la “morte” dell’Ilva. Anche il ministro dell’Ambiente Clini ha commentato – nel question time parlamentare – gli sviluppi della vicenda Ilva. “Compete al ministro dell’Ambiente, in base alla legge italiana in applicazione della direttiva europea, l’AIA che autorizza l’esercizio degli impianti industriali nel rispetto delle norme per la tutela dell’ambiente e della salute”. Ma il rischio di uno scontro istituzionale tra governo e magistratura tarantina, resta altissimo. “Mi auguro – ha specificato Clini – che la decisione del Gip non interferisca con la procedura prevista dalla legge italiana”.

Gianmario Leone (articolo pubblicato su Il Manifesto)

 

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