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Ilva, torna il ricatto occupazionale

TARANTO – Come volevasi dimostrare. All’indomani dell’ultima minaccia del Gruppo Riva, i sodali dell’ingegnere dell’acciaio hanno iniziato a lanciare i primi segnali. Del resto, lo abbiamo scritto in largo anticipo ai primi di agosto mentre istituzioni, sindacati e mass media iniziavano il loro risveglio dopo un letargo durato decenni: senza facoltà d’uso degli impianti per la produzione, il Gruppo Riva farà le valigie e chiuderà baracca e burattini. La conferma è arrivata nella giornata di martedì, quando il presidente Ilva Bruno Ferrante si è recato in Procura per consegnare il nuovo piano di investimenti previsto dall’azienda sul risanamento ambientale del siderurgico, che però è legato a doppio filo all’istanza in merito alla richiesta di ottenere dal GIP Todisco l’ok alla minima attività produttiva. Se non dovesse arrivare tale concessione da parte del giudice, l’Ilva non attuerà alcun investimento: fine dei giochi.

Senza vergogna alcuna, il Gruppo Riva vuol far credere al mondo intero che un’azienda come l’Ilva, che negli anni solo grazie allo stabilimento di Taranto ha fatturato utili per miliardi di euro, non possa sostenere un esborso economico della cifra economica, irrisoria, di 400 milioni di euro, senza avere un ritorno economico dal mercato grazie al proseguo dell’attività produttiva. Messaggio che lascia intendere come anche lo stesso Riva abbia intuito che questa volta non sarà possibile cavarsela con l’ennesimo accordo di programma, ipotesi rilanciata martedì dallo stesso Ferrante: ecco perché il patron prova a giocarsi l’ultima carta disponibile, ovvero farsi dire dalla Procura che non può produrre, per giustificare un addio alle armi in realtà già pianificato da tempo.

E così, siccome è la linea del padrone quella da seguire, sempre e comunque, la Semat spa e la Edil Sider, due società che operano da anni nell’indotto del siderurgico, hanno annunciato ai lavoratori che intendono procedere a “ferie forzate” e ad un “possibile ricorso alla cassa integrazione” per 490 dipendenti: 450 della Semat e 40 della Edil Simer. A renderlo noto in una nota, è stato il segretario generale della Fillea-Cgil di Taranto, Luigi Lamusta. Dunque, dopo anni, torna in scena il Riva che tutti abbiamo sempre conosciuto e con il quale le nostre istituzioni, i sindacati e la classe dirigente, hanno sempre voluto intrattenere rapporti di buon vicinato, chiudendo occhi e orecchie, tappandosi il naso e stringendo mani che era meglio tener lontane, per il bene comune e il futuro di questa città. Ricatto occupazione che, in un momento così delicato, non può che essere definito come “un attacco strumentale, di puro terrorismo psicologico nei confronti dell’anello più debole della catena”.

Contro il disimpegno del Gruppo Trombini (Semat e Edil Sider), Lamusta assicura che il sindacato opporrà “con forza tutta la nostra azione sindacale. Non accetteremo che a pagare siano i lavoratori delle imprese dell’appalto”. Che in caso di una prossima chiusura del siderurgico, è scontato saranno i primi a restare senza lavoro. Il bello è che, come niente fosse, i delegati sindacali  sono stati convocati dalle imprese, che hanno prospettato loro, attraverso annunci di catastrofi imminenti, la cassa integrazione al buio con nessuna garanzia circa la possibile ripresa.

Il che non fa altro che confermare la nostra convinzione in merito ad un sempre più vicino addio del Gruppo Riva. Corroborata dal fatto che le due aziende appaltatrici hanno ritirato i mezzi e il personale che operavano, guarda caso, nelle aree a caldo sequestrate. E questo per il sindacato vuol dire soltanto una cosa: Che “finite le ferie, i lavoratori potrebbero trovarsi sin da subito in cassa integrazione, consapevoli del fatto però che gli ammortizzatori sociali nel nostro caso sono liquidati dalla Cassa edile con tempistiche che a volte superano anche i sei mesi. Un allarme occupazionale e sociale che rischia di esplodere se non arriveranno da subito le necessarie garanzie”. Garanzie che dovrebbero arrivare da un’azienda che anche ieri, attraverso le parole del vicepresidente Fabio Riva a margine di un incontro con il commissario Ue all’industria Antonio Tajani al quale hanno partecipato industriali del settore Ue, conferma di voler restare a Taranto.

Finalmente, anche i sindacati hanno iniziato ad aprire gli occhi, intuendo il gravissimo errore strategico e politico commesso in questi ultimi 17 anni: perché è chiaro che qualcosa non quadra. Come è possibile infatti che da un lato l’Ilva annunci un piano d’intervento di oltre 400 milioni, mentre dall’altro le ditte dell’appalto iniziano a tirare i remi in barca? Ma non è che per caso il Gruppo Riva non abbia reale intenzione di investire, si chiedono dubbiosi i sindacati? Dubbio che si scioglie in un secondo se si tiene sempre a mente che, qualunque tipo di investimento, dipende esclusivamente dalla facoltà d’uso degli impianti per l’attività produttiva. Senza di essa, la storia del Gruppo Riva a Taranto terminerà nel giro di qualche giorno. O forse di ore, visto che già oggi il GIP Patrizia Todisco potrebbe esprimersi sull’istanza presentata dall’azienda martedì mattina.

Lamusta conclude affermando che “a partire dalla prossima settimana la Fillea-Cgil annuncia assemblee di fabbrica e azioni mirate in tutte le imprese coinvolte.Vanno preservati i lavoratori diretti e indiretti che rischiano di pagare questo processo sulla loro pelle così come è accaduto per gli operai della ex Scardoni e dell’impresa Quadrato(230 lavoratori) che invece andrebbero immediatamente ricollocati proprio a fronte degli investimenti annunciati ieri dal presidente dell’ILVA”. Ma, come ribadito più volte da queste colonne, sindacati e istituzioni sono oramai fuori tempo massimo. Perché il ricatto occupazionale è ancora il punto di forza di Riva e dell’azienda. Ed allora sarebbe il caso che gli operai tutti, trovassero il coraggio di fare fronte comune, bypassando gli stessi sindacati, organizzandosi in un unico comitato: gli scioperi e i blocchi, infatti, andrebbero fatti contro l’azienda e dentro la fabbrica. E’ quello l’unico vero campo di battaglia per ottenere il rispetto di quei diritti del tutto ignorati e mai rispettati.

Gianmario Leone (dal TarantoOggi del 20 settembre 2012)

 

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