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Quella lettera del 2000: «Il quartiere è inquinato»

TARANTO – Lo tsunami che ha travolto l’Ilva di Taranto e che a breve rischia di spazzar via un’intera classe dirigente (politici, sindacalisti, imprenditori, medici, giornalisti, etc.) per via del fascicolo di oltre 1000 pagine di intercettazioni al vaglio del Riesame, non è arrivato improvviso sulle sponde della città dei Due Mari. Per decenni si è ignorata l’evidenza di un problema che oggi è esploso tra le mani di chi avrebbe potuto evitare tutto questo, se solo avesse interpretato al meglio il suo ruolo.

Basti pensare, ad esempio, al dramma delle polveri che dal 1964 invadono ogni giorno il rione Tamburi di Taranto, le cui prime abitazioni si ergono a soli 200 metri dai confini del mostro d’acciaio. Oggi, tutti sostengono che fu un errore tecnico quello di voler posizionare le cokerie e i parchi minerali a ridosso del quartiere. Che presenta la più alta incidenza di malattie e decessi. E pensare che la prima sentenza della Procura di Taranto sul problema polveri, arrivò il 14 luglio del 1982. Poi, in Cassazione, i giudici dettero ragione all’allora Italsider.

Nel tempo però, la polvere rossa dei parchi ha invaso ogni cosa, compreso il cimitero di San Brunone, oggi “caratteristico” con le sue cappelle e tombe rossastre. La Procura di Taranto ci riprovò nel 2000, quando in una lettera indirizzata a Governo, Prefetto, Regione Puglia, presidente della Provincia e sindaco di Taranto, avvertiva che le polveri minerali rilevate nel quartiere Tamburi “risultano maggiori di quelle rilevate all’interno di una zona industriale quale quella del parco materiali del cementificio Cementir”. Aggiungendo come dalle inchieste in corso emergeva “una grave situazione di inquinamento atmosfericoin città e nei territori limitrofi”. In pratica un intero quartiere risultava più inquinato del cementificio che sorge ad est del siderurgico.

La lettera in questione, inedita, è tra le carte depositate dalla Procura nelle due udienze svolte al Riesame lo scorso week end. Il testo della missiva si concludeva con un monito che già allora avrebbe dovuto far riflettere e agire di conseguenza le istituzioni. “L’esigenza di tutelare posti di lavoro in una terra che vive ancora drammaticamente fenomeni di sottoccupazione e disoccupazione è ben nota a chi scrive che se ne fa anche carico, tanto da valutare con la massima attenzione le modalità dei propri interventi, ma nel bilanciamento degli interessi, che trovano adeguata tutela nella Carta costituzionale, gli organi politico-amministrativi non possono privilegiarne alcuni a discapito di altri: la tutela dei posti di lavoro – concludeva la lettera – non può prescindere dal rispetto della salute degli operai e degli abitanti della città di Taranto e dei comuni limitrofi e dell’ambiente”.

Una lettera rimasta lettera morta. E a dimostrazione di come il problema sia ancora lo stesso, ci sono le rivelazioni delle due centraline di via Machiavelli e via Archimede del rione Tamburi, che nei giorni scorsi (30-31 luglio e 1 agosto) hanno nuovamente registrato valori di PM 10 sopra il limite di legge (50 µg/m3). I giorni di superamento del limite nel corso dell’anno finora sono 28 per via Machiavelli e 20 per via Archimede: il numero di superamenti annuali consentiti dalla legge è di 35. Limite sempre superato negli ultimi tre anni (2009/10/11). Così come quello del valore obiettivo di concentrazione del benzo(a)pirene.

Gianmario Leone (Il Manifesto)

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