Consentirà, inoltre, di poter finalmente alimentare l’invaso Pappadai, sinora costosissima incompiuta, offrendo una preziosa riserva di acqua nella zona nonchè, in prospettiva, di poter ridurre drasticamente lo scarico dei reflui di Gennarini sulla costa di Lido Bruno. L’altro rigetto, riguardante il passaggio di gestione di un canalone dall’Ilva all’ASI, potrebbe da un lato Finalmente individuare gli scarichi in rapporto alle diverse utenze che lo utilizzano, dall’altro comportare diverse modalità di prelievo dei reflui da analizzare.
Di valenza negativa è invece l’accoglimento del ricorso dell’Ilva con cui si affossano prescrizioni riguardanti l’installazione in cokeria di sistemi di abbattimento delle emissioni inquinanti dei camini e del selenio nei reflui. Il Tar non ha considerato alcuni fattori che avrebbero potuto determinare una scelta diversa, quali: l’emergenza benzo(a)pirene dovuta allo sforamento negli ultimi anni dell’obiettivo di qualità di 1 ng/mc, la facoltà di poter imporre nell’AIA misure più rigorose rispetto alle M.T.D. (art. 8 del D.Lgs 59/05), l’insufficienza dei sistemi di controllo delle emissioni poichè di ordine manuale e periodico e non di tipo automatico. Disposizioni, queste ultime, ritenute necessarie anche nella sentenza del 2007 al termine del processo per inquinamento delle batterie 3-6. Sul rispetto dei limiti di legge da parte della stessa cokeria, il Tar si è fidato di quanto sostenuto dall’azienda. In realtà non sono resi noti dati certificati
dall’Arpa.
Il resto della sentenza riguarda prescrizioni che risultano difformi tra i due documenti di cui l’AIA è composta: parere istruttorio della commissione IPPC e “piano di monitoraggio e controllo”. Nel merito l’Ilva ha visto facilmente accolte le sue obiezioni. Le responsabilità di questo esito sono tutte da ascriversi all’operato del Ministero dell’Ambiente targato prestigiacomo e sono gravissime. E’ sconcertante che l’AIA sia stata licenziata con errori così vistosi e devastanti da inficiare gran parte delle prescrizioni in materia di monitoraggio e controllo delle emissioni atmosferiche e degli scarichi idrici dello stabilimento; tra queste campionamento in continuo del camino E312 dell’agglomerato, misurazioni relative di IPA – polveri – emissioni non convogliate, monitoraggio in continuo degli scarichi etc.
Legambiente chiede che siano accertate eventuali responsabilità di ordine amministrativo e/o penale nei confronti di questa condotta del Ministero dell’Ambiente. Di fatto ci si trova di fronte ad un’AIA ulteriormente depotenziata e mortificata nelle sue capacità di garantire monitoraggio e controllo delle attività più inquinanti dell’Ilva con gravi ripercussioni sulla salute di cittadini e lavoratori. A questi errori il Ministero del’Ambiente deve, in tempi ristrettissimi, apporre rimedio uniformando i due testi in base alla versione più efficace delle prescrizioni interessate. Un intervento da intendersi propedeutico alla rivisitazione dell’AIA su basi più severe. La questione, inoltre, deve essere dibattuta nei tavoli tecnici predisposti dallo stesso
Ministero.
Per il circolo Legambiente di Taranto il presidente del circolo, Lunetta Franco e per il direttivo, Leo Corvace
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