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“Tempa Rossa”, lavori al via

E’ previsto per oggi l’inizio dell’attività di ingegneria di “Engineering, Procurement, Supply, Construction and Commissioning” del trattamento “Oil & Gas Tempa Rossa”, da parte delle Tecnimont S.p.A. e Tecnimont KT S.p.A., società controllate dalla Maire Tecnimont S.p.A. (società italiana quotata in borsa dal 2007, con la quale la Total ha già in essere altri affari, come ad esempio ad Al Jubail, in Arabia Saudita) che lo scorso 5 aprile ha sottoscritto con la Total Esplorazione & Produzione Italia (Gruppo Total) una lettera d’intenti per la stipula del contratto dei lavori: valore complessivo, circa €500 milioni.

Il contratto in questione comprende le unità di processo e utilities del centro petrolifero, in cui verranno trattati e stabilizzati 50.000 barili al giorno (BOPD) di petrolio greggio, nonché il trattamento acqua e gas associato, il centro di stoccaggio GPL, gli impianti di superficie sulle teste pozzo, gli allacciamenti delle flowlines e pipelines con la rete Snam Rete Gas e con l’oleodotto di Viggiano collegato alla Raffineria di Taranto. Il valore stimato dell’opera, secondo il progetto definitivo approvato lo scorso 23 marzo dal Cipe (per il quale organo Tempa Rossa “contribuirà a sviluppare la produzione di petrolio in Italia e ridurre la dipendenza energetica dall’estero”), è di un miliardo e trecento milioni di euro. Alla cui somma si deve sottrarre una sessantina di milioni di euro, che serviranno per i così detti “lavori civili”, ovvero i lavori di preparazione al progetto vero e proprio, per i quali la Total ha deciso di stipulare un contratto a parte con alcune aziende del territorio lucano.

Quando l’impianto lavorerà a pieno regime, avrà una capacità produttiva giornaliera di circa 50.000 barili di petrolio, 250.000 m³ di gas naturale, 267 tonnellate di GPL e 60 tonnellate di zolfo. Il petrolio estratto sarà poi trasportato tramite una condotta interrata fino all’oleodotto “Viggiano-Taranto”, che collega le installazioni petrolifere della Val d’Agri alla raffineria Eni di Taranto, suo terminale di esportazione. Proprio per questo motivo, l’azienda del “cane a sei zampe” ha stanziato la somma di 300 milioni di euro per la costruzione di due serbatoi per stoccare i 180mila metri cubi di greggio che arriveranno dalla Basilicata (per cui manca tra l’altro uno studio sull’effetto domino) e l’ampliamento del pontile (che come tutte le strutture accessorie sarà realizzato interamente in acciaio, come si legge nel bando di gara per l’assegnazione dei lavori di cui ancora oggi non si conosce la ditta vincitrice) della raffineria per ospitare dalle 45 alle 140 navi l’anno.

E proprio l’aumento delle navi nella rada di Mar Grande è da tempo uno dei punti meno chiari del progetto, visto che nello Studio d’Impatto Ambientale manca l’analisi di rischio di incidente rilevante, di fondamentale importanza in questi casi. Il progetto dell’Eni, inoltre, produrrà un 12% in più di emissioni diffuse, che si distinguono dalle altre per il fatto che si disperdono in atmosfera senza l’ausilio di un sistema di convogliamento delle stesse dall’interno verso l’esterno. Dato (12% in più) confermato dai tecnici di Arpa Puglia che l’Eni non smentisce, anche se nel SIA (Studio d’Impatto Ambientale) la percentuale scende all’8%.

Ma le notizie che arrivano in questi giorni dalla Basilicata sono, se possibile, ancora peggiori. Perché nel giro di pochi giorni ci sono stati due gravi incidenti, con la fuoriuscita di gas dal pozzo ‘Gorgoglione 2’ dal quale si estrae petrolio di pessima qualità, molto corrosivo, pieno di mercaptani e idrogeno solforato (altamente cancerogeni e altamente tossici), peggiore di quello già pessimo estratto a in Val d’Agri e raffinato a Viggiano. In Basilicata sino ad oggi sono stati realizzati ben 473 pozzi sterili, inattivi e attivi (questi ultimi sono 68).

E come denuncia la “Ola” (Organizzazione lucana ambientalista), la Regione “non ha ancora obbligato la disposizione nei dintorni del pozzo Gorgoglione 2 (e nei dintorni di tutte le attività minerarie in Basilicata) di centraline e laboratori di monitoraggio continui”. Anzi, molti cittadini che abitano nelle vicinanze del pozzo Gorgoglione 2 hanno denunciato come “le centraline dell’Arpab sarebbero rimaste ferme lì fin quando il pozzo era in perforazione, per essere spostate quando il pozzo è diventato attivo, mentre nel laboratorio ambulante, sempre posteggiato nella piazzola del pozzo, non ci sarebbe mai nessuno” (come riportato dal quotidiano “La Nuova del Sud” nell’edizione di sabato 12 maggio).

Ma oramai, come abbiamo più volte denunciato, non c’è più tempo per tornare indietro. Perché il progetto “Tempa Rossa” in realtà vede interessati due tra i più grandi gruppi petroliferi mondiali. Al fianco di TOTAL E&P Italia, figurano infatti anche la Shell (25%) e la Exxon Mobil (25%), tra le compagnie americane di petrolio più importanti al mondo. Ma oltre a ciò, in pochissimi sanno che “Tempa Rossa” è l’unico progetto italiano considerato dalla banca d’affari Goldman Sachs, tra i 128 più importanti al mondo in fase di attuazione, “capaci di cambiare gli scenari mondiali dell’energia estrattiva”. Che poi tale progetto andrà ad intaccare e a peggiorare anche gli scenari ambientali di Taranto, questo di certo non interessa alle nostre istituzioni, ai sindacati o a Confindustria. Figuriamoci se può interessare all’Eni o a multinazionali del petrolio come Total, Shell ed Exxon Mobil. Ed il bello è che “Tempa Rossa” è stato definitivo un progetto “compatibile con l’ambiente circostante” e soprattutto di “pubblica utilità”.

Gianmario Leone (dal TarantoOggi del 14 maggio 2012)

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