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Mar Piccolo, una colpa comune – Le responsabilità dell’inquinamento

TARANTO – Pur prendendo atto del fatto che Regione ed Arpa Puglia, al termine di una serie di Conferenze di Servizi inerenti il problema dell’inquinamento da Pcb del 1° seno del Mar Piccolo, abbiano dato il loro ok al “Progetto preliminare di messa in sicurezza di emergenza delle acque di falda” pensato dalla Direzione del Genio Militare (Marigeminil), che dovrebbe essere consegnato entro il mese di luglio e diventare operativo entro la fine dell’anno, restano tanti i dubbi su una faccenda che affonda le sue radici in un lontanissimo passato. Ed alla quale oggi si sta tentando disperatamente di ovviare seguendo strade non proprio chiarissime e dagli incerti risultati finali.

Il sospetto nasce dal fatto che in nessun verbale delle varie Conferenze dei Servizi svoltesi negli ultimi mesi (22 dicembre, 31 gennaio, 28 febbraio e 8 marzo) e da noi consultati, vi è traccia del fatto se vi siano ancora o meno sorgenti attive che incrementano il flusso massico di PCB nel Mar Piccolo. E se sì, quali esse siano e in che misura contribuiscano all’inquinamento dello specchio d’acqua interessato. Una cosa davvero strana, non trovate? Si mette in piedi un progetto che dovrebbe mettere in sicurezza di emergenza le acque di falda (che attenzione non vuol dire affatto risolvere il problema una volta e per tutte ma solo mettere un tampone provvisorio), senza però spiegare e rendere noto alla cittadinanza, ed in primis ai mitilicoltori, se nel Mar Piccolo siano ancora presenti sorgenti inquinanti o meno. E se sì, cosa peraltro molto probabile, appare ancor più strano non aver pensato prima a “chiudere” una volta e per tutte queste fonti inquinanti, per poi partire con i vari progetti per risolvere definitivamente (?) il problema (che però a detta dell’assessore regionale all’Ambiente Lorenzo Nicastro si è molto vicini a considerare risolto).

Insomma, da lontano, il progetto approvato dalla Conferenza dei Servizi, ricalca la stessa idea del “grandioso piano di bonifica” che istituzioni e sindacati stanno sponsorizzando oramai da qualche mese a questa parte in riva allo Ionio, come panacea di tutti i mali. Senza però volutamente considerare il fatto che una reale bonifica (che per l’estensione di un Sito di Interesse Nazionale come quello di Taranto potrebbe durare decenni interi) potrà partire solo quando qualunque fonte o sorgente inquinante presente sul territorio, abbia concluso la sua opera distruttrice. Dramma nel dramma, poi, il fatto che anche la stragrande maggioranza degli 11 candidati sindaci alle elezioni comunali del prossimo maggio, si sia fatta incantare da questa nuova fiaba delle bonifiche, finendo per inserirla anche nei programmi elettorali: a dimostrazione del fatto che non si ha reale contezza del problema di cui si sta parlando.

Eppure, come sempre, basterebbe anche solo affidarsi alla memoria storica che riguarda il nostro territorio, per tracciare una via maestra che abbia un minimo di senso logico. Ad esempio, restando sempre in tema inquinamento da Pcb del 1° seno del Mar Piccolo, si potrebbe iniziare con l’indicare (senza alcuna caccia alle streghe ma solo per il diritto alla verità) i reali colpevoli di ciò che è avvenuto in Mar Piccolo. Una volta individuati, chiedere loro il conto sotto forma di impegno economico (anche a costo di non lasciare nemmeno un euro nelle loro casseforti piene di soldi ottenuti grazie al nostro territorio) e materiale nel risarcire il danno da un lato e nel mettere in campo tutte le loro competenze affinché risolvano un problema da loro creato.

Dopo di che, invitarli gentilmente a lasciare per sempre il nostro territorio, senza alcun “rancore”. E il tutto si può fare già adesso, con le carte che le nostre istituzioni hanno nelle loro mani. Ad esempio attraverso la mappa sulla “Distribuzione dei PCB nei sedimenti dei Mari di Taranto” fornita dal CNR nel corso della riunione tecnica che si svolse giovedì 11 agosto 2011, dalla quale si evinceva chiaramente come la presenza maggiore di PCB nel 1° seno del Mar Piccolo, fosse in corrispondenza dell’Arsenale Militare di Taranto, degli ex cantieri navali Tosi, di una parte di Buffoluto, così come dalla parte dei Tamburi e del Galeso.

In Mar Grande, invece, i punti con maggiore criticità erano riscontrabili davanti alla base militare di Chiapparo e nei pressi degli scarichi a mare dello stabilimento siderurgico Ilva e di altre attività industriali. Magari pretendendo di conoscere dove e come sia stato realmente smaltito il contenuto dei trasformatori elettrici presenti nelle aziende industriali del territorio della Provincia di Taranto sino al 1990. Oppure indagando su quanto denunciato nella “Relazione tecnica sullo stato di inquinamento da PCB nel SIN Taranto ed in aree limitrofe”, effettuata dal Servizio Ciclo dei Rifiuti e Bonifica della Regione Puglia.

Una relazione di ben 28 pagine, nella quale sono state messe in evidenza le fonti primarie di contaminazione (sorgenti attive che incrementano il flusso massico di PCB nel Mar Piccolo) e le fonti secondarie (sedimenti inquinati che generano la propagazione della contaminazione anche attraverso la risospensione naturale o indotta antropicamente). Una relazione nella quale vengono messi sul banco degli imputati la Marina Militare e la sconosciuta azienda “San Marco Metalmeccanica”. Dal 1972 al 1995, è stato riempita con materiale di risulta e scarti provenienti da lavorazioni di tipo industriale una cava presente nel terreno occupato dalla San Marco che acquistò quel terreno nel 2003.

A tutt’oggi nessuno ha indagato né pare si abbia intenzione di farlo. Anche perché l’area in cui si colloca la cava in questione, possiede una sovrapposizione di una serie sedimentaria clastica pleistocenica (Calcareniti di Gravina) e del substrato mesozoico carbonatico (Calcare di Altamura). In quella zona è presente solo la falda profonda che ha sede nella successione del Calcare di Altamura. Gli elaborati del Piano regionale di Tutela delle Acque mostrano che lo scorrimento della falda carsica avviene prevalentemente lungo la direttrice NO-SE, cioè proprio verso il Mar Piccolo. Il che spiegherebbe il perché nella mappa del CNR, viene segnalata lo specchio d’acqua prospiciente i Tamburi e il Galeso.

Ma tant’é. Siamo in campagna elettorale e queste cose non interessano a nessuno. E mentre i mitilicoltori del 1° seno del Mar Piccolo si “scannano” per andare ad occupare gli appena 360.000 metri quadrati di Mar Grande, altrove c’è chi in assoluto silenzio propone un ipotetico sistema di mitigazione di messa in sicurezza delle acque di falda, ben sapendo che le colpe di molti, in primis le sue, saranno presto dimenticate.

Gianmario Leone

g.leone@tarantooggi.it

 

 

 

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