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Ilva, dialogo? Solo in tribunale

TARANTO – Non trovate strano che un’azienda al centro di un’inchiesta da parte di una Procura e con addosso i riflettori interessati dell’intero arco politico locale e regionale in piena campagna elettorale, da un lato professi a livello ufficiale il dialogo e il confronto come uniche strade per un futuro “eco compatibile” per tutti, mentre dall’altro prosegua imperterrita sulla strada del continuo ricorso al Tar come mezzo per rimandare e rinviare provvedimenti che limiterebbero, qualora attuati, la propria impunità inquinatrice? La risposta è ovvia: indubbiamente tale atteggiamento oltre che strano è alquanto sospetto. Ma lo stupore cessa di esistere se associamo tale atteggiamento all’Ilva di Taranto. Che nella giornata di ieri si è presentata più battagliera che mai in compagnia dei suoi legali all’udienza di Camera di Consiglio sulla istanza di sospensiva avanzata dall’azienda nei confronti di alcune prescrizioni presenti nell’A.I.A.

Dunque, mentre il presidente della Regione Puglia si accorda con il Ministro dell’Ambiente e il Sindaco di Taranto per incontrarsi il prossimo 14 marzo a Bari proprio per discutere sulla riapertura del procedimento dell’A.I.A., l’Ilva tenta di bloccare lo stesso su alcune precise prescrizioni decise lo scorso 5 luglio a Roma. Il tutto, mentre sia l’Ilva, sia l’intero arco politico che i sindacati, invitano al dialogo, al confronto, al rispetto reciproco, base fondamentale per coniugare lavoro, ambiente e salute, postulati cardine del principio dell’eco compatibilità, moda degli ultimi tempi dei nostri prodi, priva di qualunque valore e significato, proprio come ogni moda che si rispetti. Dunque l’Ilva, mentre da un lato porge l’altra guancia dicendosi disponibile al dialogo e al confronto, dall’altro continua con tenacia a dare battaglia nell’aula del Tar di Lecce, nuovo feudo della famiglia Riva e dei suoi avvocati.

Che nella giornata di ieri hanno impugnato soprattutto due punti fondamentali dell’A.I.A.: le prescrizioni in materia di sistemi di abbattimento di macro e micro inquinanti e quelle sulla rete di smaltimento delle acque reflue. La motivazione del ricorso, esposta dagli avvocati dell’Ilva, è che l’azienda considera “troppo punitive” le prescrizioni. I giudici, come previsto, si sono riservati di decidere. La sentenza potrebbe arrivare oggi o entro i prossimi 2-3 giorni e la speranza è che, visti i precedenti, almeno questa volta il Tar rimandi al mittente l’ennesimo atto di arroganza dell’Ilva nei confronti di un territorio che da sempre considera alla stregua di una colonia.

Certo è che lascia basiti il fatto che l’Ilva faccia ricorso perché ritiene troppo pesanti le prescrizioni presenti nell’A.I.A. Per chi è a corto di memoria, ricordiamo come nel documento redatto lo scorso 5 luglio, scomparvero “stranamente” proprio quelle che in realtà sarebbero dovute essere delle vere prescrizioni: scomparve la rete di monitoraggio esterna alla cokeria, importante per rilevare le emissioni di IPA e del benzo(a)pirene; venne depotenziato il sistema di video registrazione delle emissioni diffuse e fuggitive; vennero aumentati i limiti per i macroinquinanti, tra cui le polveri, ossidi di azoto e di zolfo per cui però l’Ilva fa ricorso; il monitoraggio di sostanze come cadmio, cromoesavalente, mercurio, arsenico non avviene alla fonte di emissione ma allo sbocco a mare quando le sostanze sono diluite: ed anche su questo hanno inoltrato ricorso; venne “dimenticata” la copertura del parco minerali (che oggi Vendola e soci ritengono fondamentale: ma quel 5 luglio, lo stesso Vendola, Florido e Stefàno oltre ai sindacati si dettero alla latitanza) lasciando al solo barrieramento la “soluzione” del problema; non venne previsto alcun sistema di abbattimento degli inquinanti emessi dai camini delle cokerie, grazie anche ad una controdeduzione dei tecnici Ilva accolta dalla Regione, che però oggi si lamenta della poca severità dell’A.I.A.; non venne previsto il monitoraggio in continuo degli Ipa (Idrocarburi policiclici aromatici); infine venne dato l’ok per aumentare la capacità produttiva 15 milioni tonnellate a cui, ovviamente, corrisponde un aumento dell’inquinamento.

Ultimo, ma non certo per importanza, il mancato campionamento in continuo della diossina, che consentirebbe di controllare 24 ore su 24 per tutto l’anno le emissioni di diossina in uscita dal camino E312. Nel parere istruttorio, in merito al campionamento in continuo, viene tutto rimandato a tavoli tecnici (controdeduzione dell’Ilva nuovamente accolta dalla Regione). E già lo scorso luglio denunciammo proprio questa scelta: per il semplice motivo che forse non tutti sanno i tavoli tecnici decidono tutto all’unanimità: questo vuol dire che possono passare, mesi o addirittura anni prima che venga presa una decisione. E non è un caso, infatti, se nella nota dello scorso 27 febbraio in cui veniva commentato il provvedimento dell’ordinanza del Sindaco, l’Ilva, sulla questione del campionamento, dichiarava come “per quanto riguarda la fattibilità abbiamo già detto la scorsa settimana di come siamo pronti a partire con il campionamento di lungo periodo. Aspettiamo che siano le Istituzioni preposte ad indicarci la tecnologia da utilizzare”: altro tempo perso, dunque, proprio perché quel tavolo tecnico ancora non si è riunito.

Alla fine del gioco, dunque, mentre la politica e i sindacati continuano a produrre solamente una marea di chiacchiere, fingendo di indignarsi ed impegnarsi da bravi commedianti, ignorando volutamente il fatto di non aver agito per tempo ed illudendosi di restare pressoché immuni da responsabilità, chi continua a fare sul serio e ad utilizzare tutte le proprie armi, è proprio l’Ilva. Che conosce alla perfezione il diritto, le leggi, che sa come muoversi e come continuare a fare ciò che meglio crede sul territorio. E, soprattutto, conosce perfettamente che statura politica e morale hanno i suoi “competitor”: per questo, al di là di qualche nota ufficiale, resta al chiuso delle sue stanze, preferendo l’aula di un tribunale come scenario ideale per decidere il proprio futuro. Ed il nostro.

Gianmario Leone

g.leone@tarantooggi.it

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