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Linfoma non Hodgkin, rischio maggiore per chi vive nell’area contaminata da Pcb

BRESCIA – Sono molto  interessanti i risultati di uno studio bresciano pubblicato sulla rivista scientifica internazionale “Environmental Research” (“Environmental Research” 111 (2011) 254-259 “Polychlorinated biphenyls and non-Hodgkin’s lymphoma: A case–control study in Northern Italy)”, effettuato dalla sezione di Igiene, Epidemiologia e Sanità Pubblica dell’Università di Brescia e dell’Azienda sanitaria locale, concluso nel 2008,  che rivela rischio un aumentato del 70% per chi vive nell’area contaminata dalla Caffaro (industria chimica). Si precisa che “i risultati devono essere considerati con cautela, in assenza di misure individuali biologiche di esposizione”.

Lo studio ha considerato 495 casi di cittadini (254 maschi e 141 femmine) che avevano contratto un linfoma non Hodgkin, una neoplasia maligna del tessuto linfatico, tra il 1993 e il 2004, indicati nel Registro Tumori e riportati nel registro di mortalità dell’Asl di Brescia. Questo gruppo è stato confrontato con un altro formato da 1.467 cittadini privi della malattia.Si è analizzata la correlazione tra malattia e residenzialità attorno all’area inquinata: a Sud della Caffaro, a Est (quartiere Primo Maggio) e un’altra ancora più a sud.

Esaminando tutti e 495 casi emerge il rischio del 40% in più di contrarre il linfoma per chi ha abitato in quella zona fino a 10 anni, del 280% per chi risiede lì da 10-19 anni. Il rischio si riduce, quindi, nel caso di  residenti da oltre 20 anni, ma va considerato il numero  limitato di campioni presi in esame. Infine, viene detto che “i risultati del presente studio non consentono di trarre conclusioni definitive sulla possibile associazione tra esposizione a PCB e insorgenza di LNH per l’assenza di misure precise dell’esposizione a livello individuale e l’assenza di misure di altri fattori di rischio per la malattia”. Per valutare l’associazione tra esposizione a PCB e insorgenza di LNH e STM, si suggerisce di  effettuare studi epidemiologici analitici con misure su campioni biologici e una raccolta precisa di dati su possibili fattori di rischio a livello individuale”.

N.B. “La Caffaro dai primi anni 70 fino al 1984 ha prodotto l’ apirolio (che contiene Pcb), un liquido isolante e non infiammabile destinato ai trasformatori del centro siderurgico di Taranto” (Fonte: http://archiviostorico.corriere.it/2010/giugno/24/Caffaro_veleni_gettati_una_cava_co_7_100624043.shtml)

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