“Nel Mar Piccolo non è possibile coltivare cozze – spiega Pugliese – in quanto l’elevata concentrazione di diossina non lo permette. Altrettanto accade nel Mar Grande a causa delle esagerate quantità rilevate di apiroglio. Migliaia di pecore vengono periodicamente eliminate perché ‘contagiate’ dalle letali emissioni di diossina. Nel quartiere Tamburi lo sforamento dei valori permessi di benzo(a)pirene e polveri sottili costituisce ormai la norma. Sfido chiunque a definire una città con simili problematiche ‘modello’ in quanto a condizioni ambientali”.
Tuttavia la lunga lista di guai ambientali causati dall’Ilva non finisce qui. “C’è un accordo di programma, sottoscritto quasi quattro anni fa e mai messo in atto, che impone la bonifica di 115 km quadrati di territorio. Non basta erigere pannelli sul muro di cinta dell’azienda per risolvere la questione del parco minerali. Le emissioni inquinanti delle cokerie e delle acciaierie, passando per la mega discarica industriale e lo sversamento delle fogne nel Mar Grande, stanno lì a testimoniare che il più è ancora da fare. Altrimenti basta recarsi al tribunale di Taranto, dove sono tuttora in corso processi sull’inquinamento ambientale causato dall’Ilva”.
Il segretario generale della UIL di Puglia e di Bari invita l’Ilva a “non cullarsi sugli allori, ma a investire per la prevenzione della salute e della sicurezza dei lavoratori e dei cittadini di Taranto. Investimenti che non possono essere elusi, tantomeno da un ricorso al Tar di Lecce che appare più una minaccia ingiustificata alla città ed un atto di arroganza che un’azione legale con reale fondamento. I limiti previsti dall’Aia vanno rispettati, la stessa Aia per la cui concessione l’Ilva si è battuta con le unghie con i denti e che è stata ottenuta attraverso un percorso non certo lineare sia da parte del Ministero dell’Ambiente che della Regione Puglia”.
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