Così ha detto il dottor Michele Conversano, responsabile del Dipartimento di Prevenzione della Asl ionica, a margine di un convegno organizzato dal Cnr la scorsa settimana, e così si è espresso anche Massimo Blonda, direttore scientifico di Arpa Puglia, ieri a Taranto per un’iniziativa di Legambiente, Ispra e Assoarpa.
I timori sono legati sia all’efficacia degli interventi tecnici da porre in essere per risanare il Mar Piccolo, sia all’incertezza sui fondi che si avranno a disposizione. In tempi di magra come quelli che stiamo vivendo è assai difficile prevedere un impegno “poderoso” del Governo a favore della realtà ionica. E allora, ciò che prevale tra gli addetti ai lavori è l’incertezza.
«In questa fase il tavolo tecnico sta acquisendo tutti i dati raccolti dai vari soggetti istituzionali che hanno operato su Taranto fino ad oggi – ha spiegato Blonda – l’oggetto dell’approfondimento attuale non è l’individuazione dei responsabili sul piano giuridico, ma il riconoscimento delle fonti contaminanti. Per rendere efficace gli interventi di bonifica o di messa in sicurezza sui sedimenti, è necessario bloccare l’apporto di inquinanti “freschi”».
Sul possibile riutilizzo del primo seno da parte dei mitilicoltori, Blonda non ha prospettato scenari esaltanti: «A questo livello di conoscenze, in merito anche alle disponibilità economiche, è difficile immaginare un quadro finale. La possibilità tecnica non è illimitata, considerando anche i rischi che certi interventi possono comportare, così come illimitate non sono le risorse».
Il destino dello specchio d’acqua è quindi nelle mani del Ministero dell’Ambiente e del Governo centrale. La situazione attuale, però, induce a fare anche un’altra amara riflessione: la prevenzione del disastro ambientale avrebbe comportato costi notevolmente inferiori rispetto alla riparazione del danno. Ora, l’impressione che si ha è netta: la frittata ormai è stata fatta e la soluzione ha tutta l’aria di una chimera.
Alessandra Congedo
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