«La gente deve sapere cosa avviene quando si trivella un pozzo o quando il petrolio viene trattato in un centro oli della Basilicata e nella Raffineria di Taranto – spiega Bavusi – gli allevatori che operano nei paraggi del centro oli sono costretti a chiudere le loro attività perché la gente non compra più i loro prodotti (carne, latte). Le conseguenze negative si sono viste soprattutto a Viggiano dove c’era un’attività agricola e zootecnica di un certo rilievo».
Oltre a sottolineare la preoccupazione per l’impatto dell’idrogeno solforato (è recente l’intossicazione di venti operai dell’Elba Sud), Bavusi esprime grande preoccupazione per il rischio contaminazione delle acque. «Da quattro anni la diga del Pertusillo è in difficoltà – dice – dalle analisi effettuate da associazioni non governative è emersa la presenza di metalli pesanti nell’acqua e di idrocarburi nei sedimenti che nessun depuratore funzionante potrà eliminare. L’Arpab non offre sufficienti garanzie. Per loro va tutto bene. Noi, però, abbiamo bisogno di sapere cosa avviene davvero».
E parlando di Lucania si finisce per parlare – inevitabilmente – di Taranto: «Il problema è che la nostra acqua arriva nei vostri rubinetti. Così rischiate di essere avvelenati non solo dall’aria ma anche da ciò che bevete». Cosa intende proporre l’Ola per arginare questi rischi? «Noi chiediamo una legge regionale per la Basilicata che abbassi i limiti di emissione – risponde l’ambientalista – attualmente è troppo favorevole alle compagnie petrolifere: non tiene conto dell’impatto di un centro oli sulle sorgenti». Problemi comuni che richiedono strategie e azioni sinergiche. Di questo è convinto Bavusi: «Le associazioni ambientaliste lucane e tarantine devono lavorare in rete, in autonomia rispetto al mondo politico. Solo attraverso la collaborazione potremo ottenere dei risultati concreti». Insomma, da soli non si fa molta strada.
Alessandra Congedo
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