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La fabbrica dei veleni – Felice Casson

Nel consigliarvi questo libro non riporto la recensione ma il resoconto di un dibattito avvenuto nel 2007.

Un titolo che rimanda a cose ben precise: diossina, mercurio, anidride carbonica, idrocarburi policiclici aromatici e a tutte le altre sostanze dal nome quasi impronunciabile immesse nell’aria o versate in mare. La nostra aria, il nostro mare. Sostanze che poi finiscono nei nostri polmoni, che penetrano nella nostra pelle, che contaminano il nostro cibo e che possono condannare a morte centinaia di persone.
Ma “La fabbrica dei veleni”, il libro scritto dal sen. Felice Casson e presentato ieri sera nell’affollato Salone degli Stemmi della Provincia, non parla delle nostre fabbriche. Peccato che all’incontro organizzato dal “Tavolo Verde” sia mancato proprio lui, il diretto interessato, trattenuto a Roma per impegni parlamentari (il suo voto al Senato risultava infatti quanto mai prezioso per salvare il Governo nel corso di un dibattito infuocato)
Nel libro l’ex magistrato ricostruisce la storia del Petrolchimico di Porto Marghera, il complesso industriale messo sotto accusa per la morte di 157 operai e la malattia di altri 103.
Il processo, iniziato nel 1998 e concluso nel 2004, ha visto il coinvolgimento dei vertici dirigenziali di Enichem e Montedison, i quali sono stati assolti in primo grado e poi condannati in appello e in Cassazione.
Casson, in veste di pubblico ministero, ha avuto il merito di smascherare le responsabilità delle aziende chimiche che avevano esposto i loro operai al cloruro di vinile, sostanza fortemente cancerogena.
Il libro ripercorre, passo dopo passo, le varie tappe della storia partendo dall’iniziativa di un coraggioso operaio, un certo Bortolozzo, che per primo ha denunciato quanto avveniva nella sua fabbrica, supportato da Medicina Democratica. Casson racconta i tentativi messi in atto dalle lobby industriali mondiali, le storie delle vittime, la scomparsa di dossier scomodi, gli imbrogli politici, i ricatti occupazionali e gli scontri avvenuti durante la fase processuale, fino a giungere alle condanne finali.
Alle inquietanti vicende di Porto Marghera si sono agganciati, durante il dibattito moderato dal giornalista Michele Tursi, Aldo Pugliese, segretario generale della Uil Puglia, Alessandro Marescotti, presidente di Peacelink, l’on. Paolo Rubino, Franco Parisi, presidente del “Tavolo Verde”, e i rappresentanti di Fim, Fiom, Uilm. E’ emersa la presenza di una serie di analogie tra l’esperienza raccontata nel libro e quanto avviene, da qualche decennio, nella nostra città.
A Porto Marghera era stato ignorato l’impatto del cloruro di vinile sulla salute dell’uomo, a Taranto probabilmente si sono sottovalutate le conseguenze della diossina. Una sostanza, quest’ultima, che produce effetti sull’organismo umano nel lungo periodo col rischio di trasmettere una ereditarietà o una predisposizione ai tumori anche in soggetti di giovane età, come ha affermato nei giorni scorsi un esperto come il dottor Mazza, primario di ematologia dell’ospedale jonico.
Lo stesso Mazza ha fatto sapere che ormai si riscontra la sindrome del fumatore incallito anche nei bambini. Che dire poi del fatto che negli ultimi 30 anni i morti per tumore sono aumentati del 100%? Risulta preoccupante anche un altro dato fornito da Alessandro Marescotti: negli ultimi 45 anni a Taranto è stata prodotta una quantità di diossina due volte superiore a quella di Seveso.
Cosa fare per arginare lo strapotere della grande industria e limitare le emissioni di veleni? Aldo Pugliese ha lanciato un messaggio chiaro: l’Ilva deve adottare le migliori tecnologie disponibili per abbattere l’inquinamento, cosa che finora non avrebbe fatto. E poi, ha aggiunto Pugliese, <a Taranto ci sono ancora 115 km2 da bonificare>>.
Sia Pugliese che Marescotti hanno sottolineato la necessità di una mobilitazione popolare per la salvaguardia dell’ambiente e della salute.
<<A Genova i cittadini sono scesi in piazza fin quando l’Ilva non ha chiuso l’area a caldo>>, ha ricordato Pugliese.
Ma fortunatamente qualcosa sta cambiando. L’apatia sta lasciando il posto ad una nuova sensibilità, come ha confermato il presidente di Peacelink: <<A Taranto è nato un grosso comitato, aperto a tutti i cittadini, che si riunisce ogni lunedì nella sede della Uil per discutere di questi temi e fare delle proposte>>.
Quel che manca ancora, forse, è la consapevolezza degli stessi operai costretti a subire i danni diretti della grande industria. Sarebbe necessaria qualche reticenza in meno e qualche Bortolozzo in più per risvegliare le coscienze assopite e far vacillare un gigante che finora è andato avanti con gli occhi quasi completamente bendati.
Pubblicato su TarantOggi il 26 ottobre 2007

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