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La giornata della memoria e la colpevole “dimenticanza” dei tarantini

TARANTO – “Sicurezza per non morire”: è ciò che si legge sulla croce che guida il corteo che da piazza Caduti del Lavoro raggiunge la chiesa Gesù Divin Lavoratore. A sorreggerla sono due ex operai dell’Ilva e un attuale dipendente del siderurgico che indossano tre tute: una verde, una bianca e una rossa. Non è una scelta casuale nell’anno in cui ricorre il 150° anniversario dell’Unità d’Italia. Così come non è casuale il richiamo all’acciaieria, il luogo che ha registrato il maggior numero di incidenti mortali tra quelli avvenuti sul territorio ionico dal 1961 ad oggi.

La giornata in memoria dei caduti del lavoro comincia intorno alle 10.30, nell’ex piazza Masaccio, nel cuore del quartiere Tamburi. Anche questa scelta non è affidata al caso. Sul palco intervengono, tra gli altri, Cosimo Semeraro,  presidente del comitato 12 Giugno, Patrizia Murri, vedova di Silvio, operaio dell’Ilva deceduto nel 2004, il presidente del’Anmil Giovanni Monopoli, l’assessore provinciale Giampiero Mancarella, alcuni sindaci e rappresentanti di Comuni e sindacati.

Si notano i gonfaloni della Provincia, dei Comuni di Taranto e Laterza, della Federazione dei Caduti del Lavoro. Ma a saltare all’occhio sono soprattutto le assenze. Fa impressione vedere la piazza quasi vuota. Gli operai, i residenti dei Tamburi e l’intera città, avrebbero dovuto stringersi intorno ai familiari delle vittime, unirsi all’appello di chi chiede giustizia nei Tribunali ed una seria attività di prevenzione in tutte le fabbriche. All’appello, ancora una volta, hanno risposto in pochi.

Semeraro si rammarica per questo, ma anche per altro ed attacca: «Il sindaco Stefàno non c’è: è vergognosa questa sua assenza nel giorno in cui si ricordano i caduti del lavoro. Avrebbe potuto almeno  delegare un assessore come ha fatto la Provincia». A pochi passi da lui, sul palco, c’è il consigliere comunale Pietro Rusciano che però non interviene. E’ il momento di maggiore tensione di tutta la cerimonia. Quando parla Patrizia Murri, invece, si apre una delle parentesi più commuoventi.

La giovane vedova legge il tema scritto da suo figlio Andrea in terza media, due anni fa. Parole che pesano come macigni: «Avevo solo otto anni quando mio padre morì – scriveva Andrea – di colpo la mia infanzia volò via lasciando al suo posto un vuoto pieno di dolore. Questa tragedia frantumò in mille pezzi anni di dolcezza ed illusioni».

In seguito, sotto il palco, si forma un piccolo fiume umano che raggiunge la Chiesa Gesù Divin Lavoratore. Qui, prima della Santa Messa, vengono letti i nomi delle vittime sul lavoro di tutte le categorie. Torna così alla memoria il sacrificio di valorosi magistrati come Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, citati dal sostituto procuratore Maurizio Carbone, di coraggiosi giornalisti come Giancarlo Siani, Peppino Impastato e Ilaria Alpi.

L’elenco più lungo è quello dedicato alle vittime degli infortuni nella provincia di Taranto: Paolo Franco, Pasquale D’Ettorre, Antonino MIngolla,  Antonio Alagni, Andrea D’Alessano. Sono soltanto alcuni nomi. Poi ci sono le vittime dell’amianto, anch’esse numerose, elencate da Cosimo Semeraro, e coloro che hanno perso la vita mentre indossavano una divisa.

Davanti al microfono, i loro nomi vengono ricordati dalla signora Maria Cristina, mamma di Francesco Ardito, agente della Polfer morto a soli 22 anni in un incidente ferroviario avvenuto a Piacenza nel 1997, e da Valeria Di Matteo, figlia di Agatino, maresciallo dei Carabinieri, rimasto invalido dopo essere stato colpito dalle pallottole della Sacra Corona Unita, a Francavilla Fontana, nel 1981. La sua vita, da allora, non ha più avuto pace.

Alessandra Congedo

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