Taranto: il Giardino del Bio torna domani in piazza Maria Immacolata

TARANTO – Il tè verde fa bene alla salute. A meno che non risulti contaminato da un mix di ben 21 differenti sostanze chimiche. Anche le bacche vanno molto di moda nelle diete attuali, peccato che alcuni campioni analizzati in laboratorio contenessero fino a 20 molecole chimiche differenti. Residui chimici in quantità sono stati rinvenuti anche nell’uva da tavola e da vino, tutta di provenienza nazionale, contaminata anche da 7, 8 o 9 sostanze contemporaneamente.

Sebbene i prodotti fuorilegge (cioè con almeno un residuo chimico che supera i limiti di legge) siano solo una piccola percentuale, tra verdura, frutta e prodotti trasformati, la contaminazione da uno o più residui di pesticidi riguarda un terzo dei prodotti analizzati. Questi i primi dati che emergono da Stop pesticidi, il dossier di Legambiente che raccoglie ed elabora i risultati delle analisi sulla contaminazione da fitofarmaci nei prodotti ortofrutticoli e trasformati, realizzati dalle Agenzie per la Protezione Ambientale, Istituti Zooprofilattici Sperimentali e ASL.

Nonostante la crescente diffusione di tecniche agronomiche sostenibili, l’uso dei prodotti chimici per l’agricoltura in Italia rimane significativo. Sebbene la situazione tra il 2010 e il 2013 sia migliorata con un trend di diminuzione dell’uso pari al 10%, nel 2014 si è registrata una inversione di tendenza e il consumo di prodotti chimici nelle campagne è tornato a crescere, passando da 118 a circa 130 mila tonnellate rispetto all’anno precedente. In particolare, nel 2014, sono stati distribuiti circa 65 mila tonnellate (T) di fungicidi (10,3 mila T in più rispetto al 2013), 22,3 mila T di insetticidi e acaricidi, 24,2 mila T di erbicidi e infine 18,2 mila T di altri prodotti. Nel complesso, l’Italia si piazza al terzo posto in Europa nella vendita di pesticidi (con il 16,2%), dopo Spagna (19,9%) e Francia (19%), piazzandosi però al secondo posto per l’impiego di fungicidi.

In positivo, però, va segnalata la crescita delle aziende agricole che scelgono di non far ricorso ai pesticidi e di produrre secondo i criteri biologici e biodinamici, seguendo forme di agricoltura legate alle vocazioni dei territori, operando per salvaguardare le risorse naturali e la biodiversità grazie alla ricerca e all’innovazione. La superficie agricola biologica in Italia, infatti, tra il 2014 e il 2015 ha registrato un aumento del 7,5%. La crescita esponenziale dell’agricoltura biologica e delle pratiche agronomiche sostenibili sta dando un contributo importante alla riduzione dei fitofarmaci e al ripristino della biodiversità e alla salute dei suoli: non è sufficiente produrre cibo, si deve e si può produrre cibo sano, che nutra bene e sia buono per l’uomo e per l’ambiente.  

Proprio per dare un contributo concreto alla diffusione del consumo di prodotti biologici e promuovere le imprese agricole impegnate a curare l’ambiente e la salute di tutti, Legambiente propone anche quest’anno a Taranto Il Giardino del Bio, mercatino di prodotti biologici e da agricoltura sostenibile, per dare a tutti l’opportunità di acquistare prodotti venduti dagli stessi produttori.  Primo appuntamento domenica 5 febbraio in piazza Immacolataa partire dalle ore 10.  Sarà  la prima occasione del 2017, oltre che  per acquistare prodotti biologici, sani, gustosi, senza OGM,  per parlare con chi li produce, per conoscere la storia di cibi a “denominazione d’origine raccontata“.
In piazza con Legambiente ci saranno molti dei produttori del Gruppo d’Acquisto Solidale attivo presso l’associazione: ecco i partecipanti di domenica:
Antonio Bernardi, dell’azienda agricola Clarabella, di Castellaneta Marina

Pasquale Germano, dell’omonima azienda agricola di Rotondella

Maria Stellato, titolare di azienda agro-zootecnica casearia di Chiaromonte

Giuseppe Bonora, dell’omonima azienda agricola di Castellaneta

Vita Maria Dibrizio, dell’omonima azienda agricola di Matera

Maria Casulli, del Nuovo Muretto di Putignano

Chiara Soluna, dell’associazione AgricoLa Leggera di Miglionico

Giacomo Linoci, di Linoci Melograno made in Italy, di Grottaglie

Nicola Ierinò, dell’omonima azienda agricola di San Mauro Forte

Maria Castoro, della Masseria La Fiorita di Matera
Ma torniamo al dossier, disponibile in versione integrale sul sito di LegambienteTaranto www.legambienteranto.it  . I dati di Stop pesticidi sono il frutto delle analisi condotte dai diversi laboratori pubblici italiani; come sempre, vale il principio del ‘chi cerca trova’ e così le maggiori irregolarità sono state riscontrate dai laboratori più zelanti, che conducono il maggior numero dei controlli (Lombardia e l’ottima Emilia Romagna) contemplando il più alto numero delle sostanze da ricercare. Mancano invece all’appello i dati della Calabria, che non ha fornito alcuna informazione, e della regione Toscana, che ha fornito i dati in maniera disaggregata, non assimilabile al resto del rapporto. La regione Puglia ha rilevato 20 irregolarità tra cui 6 su campioni di melograno provenienti dalla Turchia.

Anche quest’anno, la quantità dei residui di pesticidi che le Agenzie per la Protezione Ambientale e Istituti Zooprofilattici Sperimentali hanno rintracciato nei prodotti da agricoltura convenzionale, nei prodotti trasformati e miele, resta elevata: salgono leggermente i campioni irregolari (1,2% nel 2015, erano lo 0,7% del 2014); mentre i prodotti contaminati da uno o più residui contemporaneamente raggiungono il 36,4% del totale, più di un terzo dei campioni analizzati (9608 campioni), in leggero calo rispetto al 2014 (41,2%). La percentuale di campioni regolari senza alcun residuo invece, in leggero rialzo rispetto al 58% del 2014, si attesta al 62,4%.

Tra i casi eclatanti, si arriva a combinazioni di 21 residui in un campione di foglie di tè verde, di cui 6 superano il limite di legge (Buprofezin, Imidacloprid, Iprodione, Piridaben, Triazofos, Acetamiprid) e 14 residui in un campione di semi di cumino, di cui 9 superano il limite (Carbendazim, Esaconazolo, Imidacloprid, Miclobutanil, Profenofos, Propiconazolo, Tiametoxam, Triazofos, Acetamiprid), poi le ciliegie con 13, le lattughe e i pomodori con 11 e l’uva con 9 principi attivi. La frutta è il comparto dove si registrano le percentuali più elevate di multiresiduo e le principali irregolarità:  uva, fragole, pere e frutta esotica (soprattutto banane) sono i prodotti più spesso contaminati dalla presenza di residui di pesticidi.

Il massiccio impiego di pesticidi non ha ricadute significative solo sulla salute delle persone. Una maggiore attenzione deve essere rivolta anche alle ricadute negative sull’ambiente. Nuove molecole e formulati sono stati immessi sul mercato senza un’adeguata conoscenza dei meccanismi di accumulo nel suolo, delle dinamiche di trasferimento e del destino a lungo termine nell’ambiente. Occorre valutare meglio gli effetti in termini di perdita di biodiversità, di riduzione della fertilità del terreno, di accelerazione del fenomeno di erosione dei suoli. Per le sostanze su cui non esiste ancora un parere unanime del mondo scientifico sui rischi, come per il famoso Glifosato, dovrebbe valere il principio di precauzione e il divieto di utilizzo. Tra le sostanze attive più frequentemente rilevate: il Boscalid, il Penconazolo, l’Acetamiprid, il Metalaxil, il Ciprodinil, l’Imazalil e il Clorpirifos,  sostanza riconosciuta come interferente endocrino, cioè capace di alterare il normale funzionamento del sistema endocrino e dannoso per l’organismo.

Eppure, proprio l’agricoltura potrebbe rappresentare il più importante alleato per affrontare le attuali sfide ambientali e per lo sviluppo di una nuova economia. Il primo passo è il rilancio di buone pratiche agricole attente alla complessità dei processi naturali e soprattutto capaci di innovare e sperimentare nuove tecnologie. Il motore di questo cambiamento, che include anche la riduzione dei pesticidi, è l’agricoltura biologica, con le sue molteplici varianti, come l’agricoltura biodinamica. I criteri dell’agricoltura biologica permettono infatti di sostituire l’intervento chimico con l’utilizzo dei meccanismi naturali contribuendo alla difesa delle piante e al ripristino della fertilità dei suoli e della biodiversità. Ci sono poi prodotti innovativi, come i biofumiganti, biostimolanti e corroboranti e metodi di gestione – consociazioni, rotazioni, sovesci, semina su sodo, minime lavorazioni del terreno e diserbo meccanico – che riducono il rischio di malattie delle piante e che inducono negli anni effetti benefici sulla struttura del suolo, sulla sua capacità di ritenzione idrica e sulla salute delle piante.

Governo e Regioni dovrebbero investire maggiormente in ricerca e formazione per sostenere con maggior forza questo processo di cambiamento che è stato avviato, i Comuni dovrebbero adottare azioni volte a  incoraggiare e promuovere  l’uso di alimenti biologici.  Legambiente a Taranto, col Giardino del Bio e con il suo Gruppo d’Acquisto Solidale, attivo da oltre cinque anni, vuole dare il suo contributo concreto a un cambiamento necessario per la nostra salute  e per la difesa dell’ambiente in cui viviamo.

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