Ilva, la relazione che scagiona il siderurgico: quella diossina ha un’impronta diversa

Ilva - tamburi

relazione ilvaTARANTO – E’ contenuta in 86 pagine la relazione messa a punto per Ilva dall’ingegner Maurizio Onofrio (Politecnico di Torino) sulle attività di monitoraggio ambientale del siderurgico. Un documento che rivela un quadro inquietante sul fronte diossina. Da ieri, il tam tam sulle indiscrezioni riguardanti questi dati allarmanti è diventato sempre più incalzante comportando una serie di denunce dal mondo ambientalista: dai Verdi di Bonelli a PeaceLink passando per il Fondo Antidiossina. Vengono tirate in causa soprattutto le responsabilità del ministero dell’Ambiente, Gian Luca Galletti, rimasto silente per settimane (la relazione risale a dicembre 2015).

Sulla spinosa vicenda è intervenuto ieri anche il presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano, che ha allertato la Presidenza del Consiglio e la Procura della Repubblica ed ha chiesto ad Arpa Puglia e al dipartimento di prevenzione Spesal della Asl di Taranto di eseguire indagini approfondite con campionamenti e analisi.

La stessa Arpa, entrata in possesso della relazione trasmessa dai Commissari dell’Ilva mercoledì 24 febbraio, aveva inoltrato il documento al presidente Emiliano e agli altri enti interessati evidenziando che nella tabella contenente i risultati delle determinazioni deposimetriche di diossine “si riscontano valori altissimi nelle centraline di via Orsini (quartiere Tamburi) per i mesi di novembre 2014 e febbraio 2015, rispetto ai valori di riferimento di  letteratura”.

Il direttore generale Giorgio Assennato, il direttore scientifico Massimo Blonda e il dirigente del Centro Regionale Aria Roberto Giua, si impegnavano a inviare in seguito informazioni e valutazioni di competenza Arpa, a conclusione della fase istruttoria attualmente in corso.

Ma cosa c’è nella relazione di Onofrio? Va detto, innanzitutto, che contiene misurazioni che vanno da agosto 2013 a febbraio 2015. Lo scopo del lavoro – si legge a pagina 19 – era valutare se ci fossero elementi utili per individuare correlazioni tra le deposizioni misurate in differenti postazioni di monitoraggio, di cui una (Tamburi) collocata nel rione adiacente all’insediamento Ilva.

“Dall’analisi dei dati, eseguita utilizzando metodi statistici propri della trattazione di sistemi multivariati – si legge nel documento – si ha la non univoca correlabilità fra le deposizioni misurate all’interno del sito Ilva, quelle delle postazioni al perimetro del sito e quelle nella postazione di Tamburi. Appare cioè che quanto riscontrato in queste ultime sia conseguente al contributo anche di altri fattori di contaminazione, la cui incidenza varia in reazione alle condizioni di ventosità locale”.

Rispetto a quanto raccolto a Tamburi nei mesi di maggio 2014, novembre 2014 e febbraio 2015, caratterizzato da valori di deposizione eccezionalmente più elevati di quelli misurati negli altri periodi, secondo l’ingegner Onofrio “risulta evidente come “l’impronta digitale” delle polveri raccolte al deposimetro esterno differisca in modo particolare da quella relativa alle polveri campionate all’interno del sito industriale, a quelle raccolte da sistemi di trattamento emissioni e dalle emissioni convogliate”.

Nella relazione, è scritto che “la ripartizione degli omologhi nelle polveri raccolte nei mesi indicati è, inoltre, notevolmente differente da quella delle polveri depositate a Tamburi in tutti gli altri mesi dell’anno; la circostanza è ulteriormente indicativa dell’esistenza di fattori particolari, diversi da quelli riferibili al sito produttivo, che hanno alterato in modo rilevante la qualità delle deposizioni”.

Insomma, per l’esperto del Politecnico di Torino “si può affermare che quanto riscontrato in Tamburi è conseguenza di apporti di origine diversa da quelli riferibili all’area Ilva”. E lo afferma tirando in ballo anche le condizioni meteo e la provenienza dei venti. L’ingegner Onofrio ammette che l’individuazione delle possibili sorgenti alternative è particolarmente complessa, ma cita i gas di scarico di veicoli diesel e la benzina verde, le caldaie industriali a combustibile liquido, gli inceneritori di rifiuti, oltre alla combustione di legno e caldaie a carbone.

Questo, in estrema sintesi, il contenuto della relazione che certifica dati allarmanti, ma finisce per scagionare il Siderurgico con i suoi Parchi e la Cokeria. Ora, però, spetta a chi ha la responsabilità di tutelare la salute pubblica chiarire e spiegare ai cittadini cosa è realmente accaduto in questi anni a Taranto. Senza omertà e nella massima trasparenza. Il direttore generale di Arpa Puglia, Giorgio Assennato, da noi contattato per sapere quali sono i punti di debolezza della relazione commissionata da Ilva, ha detto che l’agenzia sta esaminando il documento e che esclude una relazione tra quei picchi di diossina e fenomeni di combustione.

IL DOCUMENTO: Relazione_Onofrio_deposimetri_ILVA

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