Diossina nelle donne tarantine, polemica sui dati

TARANTO – Sono dati da prendere con le pinze quelli divulgati ieri nell’auditorium del padiglione Vinci dell’ospedale Santissima Annunziata. Il rischio è quello di cedere ad un inappropriato ottimismo. E’ stata la dottoressa Elena De Felip, ricercatrice dell’Istituto Superiore di Sanità, a presentare i risultati del progetto “WomenBioPop”, uno studio di biomonitoraggio umano teso a valutare l’esposizione agli inquinanti ambientali organici persistenti (come diossine, pcb e pesticidi) delle donne in età riproduttiva. Con lei anche il dottor Michele Conversano, responsabile del dipartimento di prevenzione della Asl.

A livello nazionale sono state coinvolte sei regioni: Trentino Alto Adige, Piemonte, Lazio, Umbria, Puglia e Sicilia. In ognuna di queste regioni sono state individuate aree che subiscono una differente pressione ambientale. Per la Puglia la scelta è ricaduta ovviamente su Taranto (area urbana soggetta ad una pesante industrializzazione) e Laterza (area agricola). Dopo aver presentato i dati relativi a Terni (Umbria), l’Iss ha quindi fatto tappa nella città ionica, dove i risultati relativi a pcb e diossine erano particolarmente attesi anche dalle donne coinvolte nel progetto – 43 di Taranto e 42 di Laterza – che si sono sottoposte all’esame del sangue e ad un questionario inerente le abitudini di vita, la dieta, la storia lavorativa e quella riproduttiva.

«In base ai dati raccolti in questo studio – ha dichiarato la dottoressa De Felip – non si osservano per le donne di Taranto delle sovraesposizioni, riferite ad un passato relativamente recente, rispetto ad altri gruppi della popolazione italiana». Il confronto tra i due gruppi di donne (quello di Taranto e quello di Laterza) non ha fatto emergere una differenza statisticamente significativa. Nel confronto con altri gruppi di donne italiane con le stesse caratteristiche i valori sono risultati sovrapponibili. «Anche nel caso dei Pcb – ha detto la ricercatrice – le donne di Taranto e provincia sono allineate ai valori che abbiamo osservato in Umbria».

E’ la stessa responsabile scientifica del progetto, però, ad ammettere che tali risultati si riferiscono ad un campione numericamente limitato e che sarebbe quanto mai opportuno allargare gli studi di biomonitoraggio ad altre sostanze inquinanti, in particolare metalli e ipa (particolarmente diffusi nell’area tarantina) e ad altri gruppi della popolazione (ambosessi ed altre fasce di età). In questo caso, infatti, sono state esaminate soltanto donne in età fertile di età compresa tra i 20 e i 40 anni escludendo, quindi, le donne più anziane che hanno avuto un margine di tempo più ampio di esposizione.

Inoltre, questo tipo di indagine non è in grado di valutare l’esposizione avvenuta in tempi meno recenti. Dalla platea, si è fatto notare che sarebbe stato opportuno differenziare i risultati in base ai quartieri di residenza dato che il livello di esposizione delle donne dei Tamburi non è certo lo stesso di quelle che vivono a Talsano. Più interessante risulta l’esito di un altro studio di biomonitoraggio condotto tra gli allevatori della provincia di Taranto, già divulgato nei mesi scorsi. Anche in questo caso il numero dei soggetti coinvolti è piuttosto basso: 45. I livelli di diossine e pcb osservati nel sangue degli allevatori residenti in un raggio di 15 km dal polo industriale, soprattutto tra i più anziani, risultano consistentemente più elevati di quelli osservati a distanze maggiori.

E’ un dato coerente con i risultati del monitoraggio alimentare condotto dalla Asl che ha rilevato nell’area interessata numerose situazioni di non conformità rispetto ai limiti di legge. Anche nella relazione che riassume gli esiti di questa indagine, viene indicata la necessità di effettuare studi di biomonitoraggio di adeguate dimensioni, con particolare riferimento ai gruppi più suscettibili della popolazione. Da segnalare, infine, che il progetto “WomenBioPop” si concluderà nel prossimo mese di maggio. Soltanto quando saranno raccolti i dati di tutte le regioni coinvolte sarà possibile fare una comparazione adeguata tra realtà a diverso impatto ambientale. Comprensibile la preoccupazione di una donna coinvolta nel progetto: “perché diffondere i dati di Taranto ora, alla vigilia delle elezioni? Forse per rassicurare la popolazione in un periodo critico sul fronte Ilva?”.

Alessandra Congedo

LE PERPLESSITA’ DI MARESCOTTI (PEACELINK): “L’indagine Womenbiopop sulla presenza delle diossine nel sangue delle donne di Taranto (presentata al Padiglione Vinci dalla dott.ssa Elena De Felip, dell’Iss) sembra tranquillizzare la popolazione. Esprimo le mie riserve metodologiche su questo studio. L’indagine ha infatti un limite di fondo: e’ stata realizzata solo su donne giovani. Poiche’ le diossine sono bioaccumulabili, esse crescono di circa tre volte nel corso della vita e si riscontrano in concentrazioni molto più alte in donne anziane. L’indagine presentata e’ basata pertanto su una impostazione che minimizza le differenze e che non consente di apprezzare le variazioni di concentrazione fra esposti e non esposti; questa differenza si puo’ apprezzare appieno solo comparando donne anziane esposte e donne anziane non esposte.

Questo limite di fondo dello studio presentato adesso lo pone in contraddizione con lo studio sugli allevatori (presentato nei mesi scorsi con la ricerca Sentieri); lo studio sulla presenza di diossina negli allevatori ha riscontrato una differenza fra popolazione più esposta (i più vicini all’Ilva avevano concentrazioni maggiori di diossine nel sangue) e popolazione meno esposta (gli allevatori in un raggio superiore ai 15 chilometri avevano una concentrazione di diossina inferiore rispetto agli allevatori delle masserie vicine all’area industriale). Lo studio sugli allevatori pertanto ha suscitato scalpore in quanto sono state prese in considerazione popolazione con esposizione prolungata, contemplando anche gli anziani. Non appropriata e’ stata inoltre la comparazione fra le donne di Taranto e quelle di Terni.

Terni e’ infatti inquinata dalla diossina dell’inceneritore e dei forni elettrici dell’acciaieria. A Terni vi e’ un divieto di pascolo analogo a quello di Taranto, per via dell’eccessiva concentrazione di diossine nei suoli. Non e’ felice neppure la comparazione con i dati della zona del Lago di Garda, che e’ vicino a Brescia, fortemente contaminata dall’apirolio che e’ stato prodotto li’ e portato nel polo industriale e militare di Taranto. Ecco perche’ questo studio non fa scalpore. Questo studio sulle donne non presenta raffronti tali da far emergere le criticita’ emerse invece con lo studio sugli allevatori di Taranto. Ed ecco perche’ sarebbe azzardato concludere che a Taranto la diossina non ha inciso sulla salute delle donne. In poche parole di trova cio’ che si cerca. La questione l’ho posta durante il dibattito che ha seguito la presentazione dello studio. La risposta della dott.ssa De Felip e’ stata questa: non c’erano i fondi per studiare anche le donne anziane”.

 

 

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