Ex Ilva, Taranto aspetta ancora giustizia

copertura parchi ilva

TARANTO – Il Natale ha portato tramite decreto del Consiglio dei Ministri nelle casse dell’ex Ilva altro denaro pubblico (680 milioni di euro) per salvarlo dal fallimento, oltre che il ripristino dello scudo penale per i suoi gestori. Una ennesima anomalia che si somma a tutte le altre che hanno caratterizzato nei decenni la vita della grande industria tarantina e che hanno condizionato direttamente e indirettamente la vita nella città ionica.

Ai politici che continuano a difendere la continuità produttiva di acciaio dell’unica azienda siderurgica a ciclo integrato italiano, si dovrebbero ricordare tutte queste anomalie che incredibilmente vengono puntualmente dimenticate o non considerate, non ritenendole forse tanto gravi da giustificare la chiusura di un’industria che negli anni si è dimostrata inquinante ed economicamente perdente (almeno per lo Stato).

CASSINTEGRATI

L’Inps non fornisce i dati del numero totale di ore di cassa integrazione annuali per le aziende italiane. Possiamo però dedurre dai dati forniti dai sindacati che dal 2019 al 2022 che l’acciaieria tarantina sia stata, tra le aziende operanti sul territorio nazionale, quella con maggiori risorse destinate a questo ammortizzatore sociale.

Attualmente, i lavoratori tarantini diretti di Acciaierie d’Italia in cassa integrazione straordinaria sono 2.500. A questi si sommano altri 1.600 di Ilva in amministrazione straordinaria. È evidente come un ricorso così elevato a questo intervento di sostegno pubblico pesi notevolmente sulle casse statali, con un costo che si somma a quello degli aiuti che negli anni sono arrivati a sostegno di una industria in crisi.

DISOCCUPAZIONE

Malgrado la presenza di una industria che a detta di tanti economisti è fondamentale per la filiera dell’acciaio e per la crescita del PIL nazionale, Taranto mostra un tasso di disoccupazione più elevato della media della Puglia.

In particolare, secondo ISTAT nel 2021, nella fascia giovanile 25-34 anni, la differenza è molto significativa: 28,8% il dato provinciale contro il 22,7% regionale. È evidente che la grande industria non ha favorito maggior occupazione rispetto ad altri territori regionali che hanno tipologie di economie sviluppate in altri settori e maggiormente diversificate.

REDDITO PRO CAPITE

Logica conseguenza dell’elevata disoccupazione e della stagnazione economica è il basso reddito pro capite degli abitanti di Taranto e provincia. Reddito che nel 2020 era di 16.308 euro con un indice del 65,1 fatto 100 quello italiano.

Dati economici quindi che non brillano certo nella nostra provincia e che dovrebbero spingere la politica a pensare e progettare quel cambiamento dell’economia locale ora appiattita su una industria predominante, limitante e ingombrante.

Ma le anomalie a Taranto non finiscono certo con i dati economici ed occupazionali. A chi difende la continuità produttiva di acciaio a tutti i costi, dovremmo ricordare i dati sanitari e ambientali.

INQUINAMENTO

A Taranto abbiamo per anni subìto emissioni inquinanti fuori controllo, soprattutto quando non vi erano strumenti in grado di monitorarle e quantificarle. Ricordiamo le grandi quantità di diossina (oltre l’8% di quella totale europea) che ha contaminato terreni ed è entrata nella catena alimentare fino a quando non è intervenuta la magistratura autonomamente e spinta da un esposto di Peacelink del 2008.

Metalli pesanti, composti aromatici, cloruri, hanno contaminato per decenni terreni, fondali marini e falde acquifere del nostro territorio, anche a notevole distanza dall’acciaieria. In seguito a caratterizzazioni istituzionali effettuate nel 2005 e 2010, il fondale delle aree analizzate del Mar Piccolo è risultato inquinato soprattutto da metalli pesanti (mercurio, zinco, arsenico, rame , piombo) e composti organici (tra cui PCB, IPA), con valori che quasi sempre superavano i limiti di legge.

A partire dal 2011, in considerazione del fatto che alcune sostanze inquinanti sono soggette a bioaccumulo (soprattutto PCB), l’allevamento dei mitili e la pesca nel primo seno del Mar Piccolo hanno subìto alcune limitazioni. In particolare i mitili possono essere allevati solo fino a che non raggiungono là lunghezza massima di 3 cm e dopo devono essere trasferiti in alcune aree individuate nel Mar Grande.

Ricordiamo che tutta l’area industriale, il Mar Piccolo e altre aree confinanti con la città di Taranto sono state dichiarate dal 2006 SIN, Sito di interesse nazionale (il secondo per estensione in Italia). Si tratta di aree inquinate nel sedimento marino, nel terreno e nella falda e che per questo dovrebbero essere interessate da opere di monitoraggio e soprattutto bonifica.

In realtà non si è mai operata una vera e propria bonifica, se non in ristrette aree, a causa di difficoltà tecniche, insufficienti finanziamenti e soprattutto per la mancata chiusura delle fonti inquinanti che renderebbero vana l’opera di bonifica.

Stranamente la città, pur confinando con le aree industriali più inquinate, non è stata inserita nel SIN. In seguito alla caratterizzazione di alcuni terreni del quartiere Tamburi, negli anni sono state emesse ordinanze che vietavano l’utilizzo delle aiuole per il gioco, vietavano il contatto con la terra e addirittura la movimentazione dei terreni cimiteriali destinati alla inumazione dei defunti.

Inoltre, a causa della presenza di polveri sottili particolarmente pericolose per la salute, a Taranto e in particolare nei quartieri più esposti alla loro diffusione, dal gennaio 2018 al settembre 2022 è stata attivata una ordinanza di messa in atto di misure precauzionali nei giorni di maggiore ventilazione, i cosiddetti wind days, che prevedevano tra l’altro la chiusura anticipata delle scuole e la raccomandazione di limitare le uscite all’aperto soprattutto per bambini e fragili.

Ricordiamo inoltre che a Taranto si è svolto nei scorsi anni il più grande processo per reati ambientali, il cosiddetto Ambiente Svenduto, che ha visto la condanna di decine tra proprietari, responsabili e dirigenti delle precedenti gestioni legate alla famiglia Riva, nonché la condanna di politici locali a livello regionale e comunale. Ricordiamo inoltre che l’ONU, in un rapporto del maggio 2022. ha dichiarato Taranto una delle aree più inquinate al mondo, definendola zona di sacrificio!

DATI SANITARI

Tantissimi studi (il principale lo Studio Sentieri per l’area SIN Taranto), le analisi epidemiologiche e il registro tumori hanno definitivamente chiarito che nella città ionica vi è stato e vi è tuttora un eccesso di mortalità e morbilità nella popolazione. In particolare malattie respiratorie, cardiovascolari e tumori risultano più frequenti rispetto a quanto dovrebbe normalmente essere atteso.

Un recente rapporto di uno studio condotto dal Centro Europeo per l’Ambiente e la Salute dell’Organizzazione Mondiale della Sanità con sede a Bonn, diretto dalla dottoressa Francesca Racioppi, ha confermato l’eccesso di incidenza di patologie e morti legate all’inquinamento a Taranto e la permanenza del rischio che ciò continui a verificarsi.

Taranto città di anomalie ed elevato danno sanitario e ambientale. Danno e rischio che probabilmente, se fossero presenti in altre aree del territorio nazionale, indurrebbero a maggiore sdegno e a un diverso approccio alla questione.

Per troppi anni la politica ha semplicemente rimandato la soluzione del problema Taranto, intervenendo con misure tendenzialmente migliorative ma non certo risolutive. Taranto ancora aspetta giustizia per i suoi morti, per i suoi malati e per il suo ambiente inquinato.