Cento ricercatori facenti capo a 37 Università e Centri di ricerca italiani e esteri hanno firmato un appello indirizzato al governo italiano per sostenere urgentemente l’istituzione di una riserva marina nel canale di Otranto tra Italia e Albania. L’obiettivo è il recupero di stock ittici in grave sofferenza, la conservazione di ecosistemi marini vulnerabili e il ripopolamento dell’Adriatico. La proposta avanzata da MedReAct e dall’Adriatic Recovery Project alla Commissione Generale per la pesca nel Mediterraneo (CGPM), prevede la chiusura alla pesca di fondo di una zona ricca di habitat sensibili e specie vulnerabili e una riduzione dello sforzo di pesca nelle aree limitrofe.
Il degrado degli ecosistemi marini e l’eccessivo sfruttamento delle risorse ittiche è una preoccupazione crescente nel Mediterraneo, in particolare in Adriatico dove la pesca industriale è praticata con grande intensità alterando gli habitat dei fondali e impoverendo gli stock ittici.
Basti pensare che proprio all’Adriatico spetta il triste primato della più alta intensità di pesca a strascico al mondo, con il risultato che vede oggi più del 90% delle risorse in via di esaurimento e una diminuzione del 70% di biomassa pescata rispetto a 35 anni fa.
Per contrastare questo declino nel 2017 la Commissione Generale per la Pesca del Mediterraneo (CGPM) ha istituito una riserva marina nella Fossa di Pomo in centro Adriatico. Da allora si è registrata nell’area una ripresa sorprendente della biomassa di scampi, naselli ed altre specie. Il successo ottenuto proteggendo solo l’1% dell’Adriatico, ha sollevando grande interesse da parte della comunità internazionale quale esempio di buona pratica e modello replicabile in altre aree del bacino.
“I risultati della chiusura Fossa di Pomo – ha dichiarato Domitilla Senni di MedReAct – dimostrano come l’istituzione di riserve marine o zone di restrizione alla pesca possano contribuire al recupero della risorse ittiche e della biodiversità marina, ce andrebbero replicate anche nell’Adriaco meridionale sostenendo il futuro di una pesca più responsabile e sostenibile”.
La zona identificata nel Canale di Otranto ospita importanti aree di nursery di specie come il gambero rosa, il nasello, lo scampo, il gambero rosso, il gattuccio boccanera e una varietà di habitat vulnerabili, tra cui comunità di coralli profondi, spugne, corallo bambù e pennatule. Tali specie creano eterogeneità e stabilità negli ambienti di fondo, aumentando la biodiversità e fornendo un importante rifugio a pesci e invertebrati, anche di valore commerciale. Inoltre, gli habitat di coralli profondi agiscono come aree di riproduzione permettendo il rinnovamento di specie ittiche sovrasfruttate e svolgendo un ruolo fondamentale negli ecosistemi dell’Adriatico.
econdo un recente studio proteggere solo il 5% di mare dalla pesca intensiva produrrebbe un aumento del 25% di stock su scala globale.
Per questo nel 2018 è stata presentata alla CGPM una proposta per l’istituzione di una seconda FRA in Adriatico, nel Canale di Otranto, sulla quale il governo italiano però ancora non si è espresso.
“Rafforzare la tutela di aree marine particolarmente significative per la tutela della biodiversità va nella direzione di fermare la drammatica perdita di specie e habitat che sta minacciando il nostro mare e, al contempo, di garantire la ricostituzione di stock ittici importanti dal punto di vista commerciale – ha dichiarato Federica Barbera, dell’Ufficio aree protette e biodiversità di Legambiente Onlus. Per questo motivo la nuova Strategia europea della biodiversità al 2030 sottolinea tra gli obiettivi chiave quello di incrementare le aree protette e le zone di tutela integrale e per questo chiediamo al ministro Patuanelli di ascoltare l’appello di tanti scienziati sostenendo l’istituzione dell’area di restrizione alla pesca nel Canale di Otranto per ripopolare il mare e garantire un futuro alla pesca”.