Ilva e ponte Morandi: su Taranto e Genova si applicano due pesi e due misure?

Non lo abbiamo scritto nei giorni precedenti per rispetto alle vittime del ponte Morandi crollato a Genova, ma lo spunto ce lo ha dato proprio il Governo e in particolare il ministro Di Maio con la sua minaccia di nazionalizzare la rete autostradale e quindi ci sembra giusto aprire una discussione: lo Stato, in presenza di concessioni al privato particolarmente strategiche, nel caso che questi evidenzi carenze operative o eccessi di profitto ai danni dei cittadini, deve o no riprendere la diretta gestione di società e impianti? La vicenda del crollo del ponte di Genova e la vicenda Ilva mostrano sicuramente dei parallelismi e degli intrecci su cui vale la pena riflettere.

La caduta di un ponte con le tragiche conseguenze che essa ha determinato, indipendentemente da ciò che la Magistratura deciderà, evidenzia una oggettiva incapacità gestionale di una struttura strategica nazionale. Non è nostro compito esprimere giudizi sulle ragioni del fallimento del privato in questo specifico caso. Incapacità? Ricerca di eccessivo profitto? Capiremo forse tra qualche mese o anno le vere ragioni del crollo, ma intanto, come ha annunciato il governo, si procederà a ritirare la concessione ad Autostrade.

Questo non significa nazionalizzare e trasferire per sempre allo Stato la gestione della rete autostradale. Potrebbe infatti trattarsi soltanto di una fase interlocutoria, in attesa di una nuova gara per l’affidamento. Sebbene vi siano delle differenze importanti, anche per quanto riguarda la vicenda Ilva vi era un privato (i Riva), un periodo di commissariamento e quindi di gestione statale, una nuova gara e un nuovo privato. È evidente che la differenza sta nel fatto che il privato, nel caso di Ilva, non era (nel caso di Riva) e non sarà ( nel caso di Mittal) un semplice gestore, ma di fatto il vero e proprio proprietario dell’impianto siderurgico.

Allo Stato comunque, sia nel caso della rete autostradale che nel caso di Ilva, spetta il compito di controllare sul rispetto delle norme vigenti attraverso le strutture istituzionali preposte. Ma perché, e veniamo al punto che ci interessa, il Governo si mostra così determinato a riprendere (momentaneamente o definitivamente) la diretta gestione della rete autostradale e si mostra invece così incerto sulla vicenda Ilva, di fronte alle criticità contrattuali emerse nell’analisi degli accordi con Mittal che lo stesso Di Maio ha ipotizzato? Non sarà mica che la gestione diretta della rete autostradale è meno complessa e complicata di quella dell’acciaieria tarantina?

Insomma, a dirla tutta, ci sarebbe piaciuto un Di Maio che, indignato per la condizione di degrado e pericolo in cui versa l’impianto siderurgico, allarmato dai tagli occupazionali, preoccupato per l’eccesso di mortalità e morbilità a Taranto, consapevole dello stato di grave inquinamento ambientale presente in tutta l’area industriale e nella nostra città, avesse sentito l’obbligo di dire: via il privato da Ilva, è il momento che questa industria torni ad essere gestita dallo Stato!

E invece no. A quanto pare, il futuro di Ilva si deciderà in punta di Diritto, basandosi su interpretazioni giurisprudenziali che stabiliranno la validità o meno di accordi contrattuali firmati dal precedente governo. Non ci pare che si stia agendo con la stessa attenzione con la società che gestisce autostrade. Insomma, senza voler in alcun modo sminuire la tragedia di Genova, mantenendo il massimo rispetto per le vittime del crollo, ci pare che come al solito si usino due pesi e due misure in vicende molto differenti, ma in cui lo Stato è intervenuto pesantemente.

A Taranto vale il Diritto, altrove ciò che comanda è l’indignazione. Perché nazionalizzare Ilva? Qualcuno non sarà certamente d’accordo. Lo Stato potrebbe essere l’unico soggetto in grado di mettere in moto una exit strategy dalla monocultura dell’acciaio a Taranto. Sicuramente non sarà il privato a chiudere e riconvertire. Ma anche su questo potremmo aprire un dibattito.