Da Roma a Taranto: e se M5S cominciasse ad aprirsi alle coalizioni?

TARANTO – All’indomani del 4 marzo mi ritrovai a discutere con un elettore Pd che molto onestamente riconosceva la batosta elettorale del suo partito e tutto sommato non si dispiaceva della vittoria del M5S e attendeva con curiosità di vedere Di Maio & C. all’opera.

“Un governo del cambiamento potrebbe far bene all’Italia, rompendo i soliti schemi di potere che hanno logorato la macchina dello Stato”, diceva questo elettore. Cambiare l’Italia? Rivoluzionare nomine RAI, nomine pubbliche, amministratori delle partecipate? Rompere i soliti schemi clientelari che per decenni hanno caratterizzato la gestione della cosa pubblica? Mi pareva un fatto difficile da realizzarsi e, da semplice osservatore della politica, scommisi con l’elettore PD sul fatto che il M5S, almeno per ora, non avrebbe governato.

Ritenevo, infatti, che il sistema di potere in Italia avrebbe fatto di tutto per evitare un passo indietro e che le forze politiche tradizionali, referenti del modello spartitorio italico, si sarebbero coalizzate per mettere in atto strategie conservative che non permettessero stravolgimenti e cambi di equilibri consolidati.

Ho continuato a pensarla così per i due mesi in cui Di Maio ha tentato in tutti i modi di costruire una maggioranza di governo. Il sistema di potere si chiudeva a riccio e Di Maio per primo deve essersene reso conto, tanto da smussare notevolmente alcune proposte del programma elettorale che per anni sono stati il cavallo di battaglia del M5S.

Malgrado questo ammorbidimento su questioni quale reddito di cittadinanza e antieuropeismo, PD, Lega, FI, hanno fatto squadra giocando col M5S come il gatto col topo, logorando l’aspirante capo del governo che, dopo averle tentate tutte e dopo aver esternato entrambe le identità del movimento (più di destra e più di sinistra), si è dovuto arrendere.

La Lega che abbandona FI rompendo quegli equilibri di potere nelle Regioni governate insieme? Il PD che rompe l’incantesimo di Renzi? Impossibile per ora. E a rendere ancora meno probabile l’ascesa al governo del M5S è l’istituzione europea che certamente non incoraggia politiche che mettano in discussione gli equilibri economici dell’Unione.

Spread che rischia di risalire, debito che allarma i mercati, quote di finanziamenti all’Italia: sono tutte questioni che i vari Moscovici e Juncker non hanno mancato di ricordarci in questi ultimi mesi. Che succederà allora? Probabilmente nascerà un Governo del Presidente che includerà un po’ tutti i partiti tradizionali e che “tirerà a campare” senza stravolgere troppo gli attuali schemi di potere, tenendo buoni i partner europei.

E a Taranto che accadrà? Nulla di diverso da ciò che avviene da decenni. Continueremo ad essere città industrializzata e basta e Ilva passerà presto ai nuovi proprietari con la benedizione del prossimo governo e il timbro di alcuni sindacati che venderanno per buono un accordo fatto sulla pelle dei lavoratori.

Una cosa positiva soltanto ha caratterizzato questa fase politica: l’apertura del M5S ad eventuali accordi di governo. Se questo è avvenuto a livello nazionale, altrettanto potrebbe maturare a livello locale. Taranto, il caso Ilva, le politiche economiche locali, potevano già ora seguire percorsi diversi se vi fosse stato accordo alle amministrative tra le forze politiche e i movimenti che avevano visioni e programmi simili.

Una futura apertura del M5S alle coalizioni (compresi quei tanti ambientalisti che non meritano le accuse di collusione col PD) potrebbe essere la svolta per eleggere un sindaco espressione della maggioranza dei tarantini che vorrebbero il cambiamento ma che non sono mai stati messi nelle condizioni di esternarlo con un voto unico. Se questa svolta dovesse mai avvenire, il rispetto per i compagni di lotta e la correttezza nel riconoscere diversità e meriti altrui dovranno essere, però,  condizioni essenziali e fondanti di qualunque collaborazione politica.