Taranto, una città in eterna attesa. Quando suonerà la sveglia?

TARANTO – Quando non c’è nessuno contro cui protestare non c’è neanche più la voglia di scendere in piazza, malgrado permangano tutti i motivi per farlo. Questo forse il sentimento dominante nella nostra città che sembra cristallizzata nell’attesa di non si sa cosa.

Un piano di trasferimento Ilva ai nuovi proprietari che prevede oltre 4.000 esuberi; una parte di impresa (quella che dovrà occuparsi di bonifiche) che resterà in mano ai Commissari governativi; un piano di “ ambientalizzazione” che lascia seri dubbi su tempi e modi di attuazione: non c’è di che essere contenti per chi da anni spera in un cambiamento netto nelle politiche industriali a Taranto.

Ma non solo la questione Ilva resta piuttosto inevasa nell’agenda delle priorità cittadine: ampliamento delle capacità di stoccaggio e forse raffinazione del petrolio di Tempa Rossa, bonifiche intorno all’area industriale e nel Mar Piccolo (bonifica dalla diossina e del pcb e non recupero di qualche auto arrugginita), potenziamento delle strutture sanitarie, discariche, inceneritori, piano di dismissione delle aree militari inutilizzate. Questioni che andrebbero discusse con governo ed enti locali, in un’ottica di visione generale sul futuro di Taranto.

Ma senza governo, in un quadro politico molto incerto a livello nazionale, tutto sembra restare sospeso nel nulla, in una bolla spazio-temporale in cui siamo tutti compresi. Potrebbe durare per un mese ancora questo stallo istituzionale, ma se anche continuasse per un anno o un decennio, noi saremmo sempre lì a galleggiare in un’attesa infinita di un cambiamento che potrebbe non arrivare mai. C’è un ricorso al TAR sull’ultimo DPCM Ilva… Dobbiamo aspettare la sentenza. Poi dobbiamo aspettare che su Mittal e sul progetto di acquisizione di Ilva si pronunci l’Antitrust europea. E dobbiamo aspettare che vengano resi disponibili i fondi sequestrati ai Riva per le bonifiche.

Così come dobbiamo aspettare la copertura dei parchi minerali. Poi dobbiamo aspettare i prossimi dati del registro tumori e si pronunci il Tribunale dei Diritti dell’Uomo. Aspettare, aspettare: è il nostro destino ormai da decenni. Un’attesa che ci logora e ci illude in uno scenario che non cambia mai, anzi peggiora, considerando la tendenza a rendere Taranto sempre più città industrializzata e basta.

Intanto sopravviviamo in una città sempre più vuota e abbandonata soprattutto dai giovani il cui tasso di disoccupazione cresce nuovamente al 41,8. % tra i 18 e i 29 anni. Troppo banale chiederci che futuro avremo così. Se è vero che si intravedono a livello nazionale spiragli di crescita economica, cosa possiamo sperare a Taranto? Che finisca la crisi mondiale dell’acciaio? Che in Basilicata si scoprano altri giacimenti di petrolio così arriverà più oro nero da noi? Che si produca più “monnezza” da trasferire nelle nostre discariche e nei nostri inceneritori? Purtroppo, continuando con questo modello di economia, solo in queste opportunità potremo sperare.

Sviluppo del turismo, valorizzazione della Città Vecchia, creazione di un polo universitario autonomo restano ipotesi che forse non vedremo mai realizzarsi se continueremo ad aspettare aiuti dall’alto. Sarebbe il momento di uscire da questo incubo che ha preso la città e svegliarci una volta per tutte. Le elezioni politiche hanno evidenziato una voglia di cambiamento generale nel Paese, anche nei territori in cui la situazione economica, sociale e ambientale è migliore della nostra.

Deputati e senatori eletti nella nostra provincia dovrebbero, appena resisi davvero conto che devono essere portavoce delle istanze del territorio che rappresentano, portare all’attenzione generale del Parlamento la questione Taranto, indicando vie di uscita concrete e in controtendenza rispetto alle scelte istituzionali finora operate. Se poi dovessero questi parlamentari entrare addirittura in una maggioranza di governo, il loro impegno per favorire la riconversione economica di Taranto dovrebbe essere davvero un impegno imprescindibile.