TARANTO – “Diciamolo chiaramente: spesso viene negata ai lavoratori la qualità e la dignità di vittime. Ci riferiamo al personale civile e militare che ha già pagato un forte tributo in termini di vite umane”. Lo dice l’avv. Ezio Bonanni, presidente dell’Osservatorio Nazionale Amianto, ma sono parole che sentiamo anche nostre.
In realtà, la Marina Militare ha diverse cose da farsi perdonare, specialmente a Taranto. Potremmo cominciare dall’inquinamento prodotto nel mar Piccolo, in particolare nella zona denominata “Area 170 ha”, la più compromessa in assoluto perché segnata dalle attività passate dell’Arsenale Militare. E’ bene rammentare, ancora una volta, che dal 2011 il primo seno del mar Piccolo è off limits per la mitilicoltura non solo per responsabilità dell’Ilva, come molti tendono a dire e a far credere (leggi qui).
La Marina Militare, inoltre, ha da farsi perdonare l’atteggiamento omissivo e colpevole con cui – per troppi anni – ha trattato l’inquietante presenza di amianto sulle sue navi. Come abbiamo avuto modo di spiegare in un recente articolo (leggi qui) la messa al bando di questa fibra killer nel nostro Paese risale al 1992, ma i suoi effetti letali erano ben noti alle istituzioni dall’inizio del ‘900.
Da un carteggio tenuto riservatissimo si evince chiaramente che già dalla fine degli anni Sessanta, i vertici della Marina erano a conoscenza dei danni che l’amianto provocava sulla salute dei suoi dipendenti. Inoltre, Luciano Carleo, presidente di Contramianto onlus, nel corso di un’audizione parlamentare del 2 marzo 2016, ha spiegato che i rischi legati all’amianto era già noti alla Marina dagli inizi del 1960.
Da allora, però, ben poco è stato fatto per arginare una vera e proprio strage. La presenza di amianto nella Vittorio Veneto, già ammiraglia della Flotta Italiana, è stata da tempo dimostrata anche in seguito ad alcuni documenti ed atti depositati dall’avv. Bonanni all’attenzione dell’Autorità Giudiziaria, in relazione ad alcuni casi di mesotelioma ed altre patologie asbesto correlate, che si sono verificati tra coloro che hanno prestato servizio all’interno dell’unità navale.
“Purtroppo i signori Vito Lupo e Camillo Limatola, che hanno prestato servizio presso la nave ammiraglia Vittorio Veneto, sono deceduti per mesotelioma – spiega Bonanni, legale dei familiari dei due sottufficiali – la Marina Militare/Ministero della Difesa ha riconosciuto la loro qualità di vittime del dovere e ha liquidato l’assegno vitalizio, lo speciale assegno vitalizio e la speciale elargizione alle vedove e ai loro orfani, ma ciò non basta, perché non rende giustizia a queste vittime e alla inaccettabilità di queste morti evitabili. Per questo motivo, chiediamo giustizia e non solo la bonifica”.
Sono in corso, oltre alle istanze di giustizia in sede penale, anche le cause civili presso il Tribunale di Roma. Per il sottufficiale Camillo Limatola che è stato in servizio con il grado di sergente, addetto alla Sala Macchine-Sala Macchine di Poppa, è stato confermato il nesso causale.
“Nella stessa consulenza tecnica d’ufficio, il Tribunale di Roma ha confermato che la morte per mesotelioma è riconducibile alla sua attività di servizio presso la Marina Militare tra cui anche il periodo presso la Vittorio Veneto”, sottolinea l’avv. Bonanni. Inoltre, è stato disposto che venga effettuata la sorveglianza sanitaria di tutti coloro che hanno fatto parte degli equipaggi in servizio sulla stessa nave. Ci risulta che altri siano morti, soprattutto tra coloro che lavoravano nella sala macchine. Senza dimenticare chi è ancora in vita ma inesorabilmente segnato dalla malattia.
Un passato carico di storia ma anche di veleni per la Vittorio Veneto, da tempo abbandonata in mar Piccolo, simbolo di un’occasione mancata di riscatto, ancora in attesa di conoscere il suo destino. In base a quanto affermato dall’ammiraglio di Marina Sud, Eduardo Serra, in una recente dichiarazione rilasciata al Nuovo Quotidiano di Puglia (articolo a firma di Francesca Rana del 25 luglio 2017), il sogno di trasformare la Vittorio Veneto in Nave-Museo sembra essere miseramente tramontato: “Il progetto è costoso e la Marina non può farsi carico della gestione futura, ormeggio adeguato, persone, manutenzione. Senza una proposta concreta con copertura finanziaria e gestionale, si perseguirà lo smantellamento. Sicuramente – ha aggiunto l’ammiraglio – non può andare avanti a lungo. Nessuno ha mai dato disposizione di approntare il trasferimento in altra sede».
Eppure, il 19 gennaio del 2017, il quotidiano triestino “Il Piccolo” aveva lanciato una notizia che aveva suscitato un vespaio di polemiche in riva allo Jonio: «Esiste un impegno da parte del ministero della Difesa per la sua bonifica e messa in sicurezza». L’incrociatore lanciamissili Vittorio Veneto, in disarmo dal 2006, si avvicina a Trieste“. Era stata la governatrice Debora Serracchiani a rendere noto l’impegno in tale direzione del dicastero romano (leggi qui).
«Sarebbe bello avere una nave da visitare di fronte al Museo del mare», aveva dichiarato nel maggio 2016, in piena campagna elettorale per le amministrative, il ministro della Difesa Roberta Pinotti, a margine di una visita compiuta al Porto vecchio e al Museo della guerra per la pace Diego de Henriquez. Nell’occasione Pinotti aveva assicurato che era già stata «verificata la trasportabilità della nave che si trova a Taranto».
Restava, in ogni caso, il problema della bonifica: “L’incrociatore Vittorio Veneto è imbottito di amianto sparso nella sala macchine e tra i tubi delle quattro caldaie che alimentavano le turbine a vapore (la nave era in grado i raggiungere i 32 nodi) – scriveva Il Piccolo – la sua bonifica, in vista dalla trasformazione in museo, si annuncia costosa”. Una somma stimata, infatti, tra i 15 e i 20 milioni di euro.
Da Taranto, sempre nel gennaio 2017, era arrivata la reazione del consigliere regionale Gianni Liviano: “Chiederò alla Regione se ci sono le possibilità perché avochi a sé il progetto per la realizzazione di un museo a bordo di nave Vittorio Veneto e chieda al ministero della Difesa di poter ottenere l’unità navale”.
Liviano aveva anche convocato un incontro nella sede del Genio civile a Taranto che ha aveva visto la partecipazione di Marina militare, Fondazione Michelagnoli, Assonautica, Lega navale, Giuseppe Mastronuzzi (già presidente dell’associazione Museo nave Vittorio Veneto), l’architetto Antonella Carella, l’ex vicesindaco di Taranto, Alfredo Cervellera, e Raffaele Verardo in rappresentanza del commissario straordinario per le bonifiche Vera Corbelli.
Liviano aveva aggiunto: “acquisiremo la delibera della giunta Vendola che aveva licenziato favorevolmente il progetto è individuato una partecipazione finanziaria. Inoltre, verificheremo la disponibilità del commissario per le bonifiche per quanto riguarda, appunto, la bonifica del Veneto. Tutto questo per poi portare tutto all’attenzione del tavolo Cis” (leggi qui).
Nell’ambito del Contratto Istituzionale di Sviluppo per l’area di Taranto, però, non vi è alcuna traccia del recupero della Vittorio Veneto, storica presenza che rischia l’oblio. Sembra risalire a secoli fa la frase detta dall’ammiraglio di squadra La Rosa, in occasione dell’Ammaina Bandiera della nave: « Il Vittorio Veneto vivrà in tutti noi, che, quando da un’altra nave ne scorgevamo all’orizzonte l’inconfondibile sagoma, provavamo un senso di ammirazione, di rispetto e di orgoglio».
Nonostante le speranze e gli sforzi di alcuni, il sogno di farla rivivere come Nave-Museo, aperta a visitatori e turisti provenienti da ogni dove, sembra destinato a rimanere nel cassetto, come tante altre ipotesi di riscatto del territorio ionico tramontate per mancanza di soldi e, spesso, anche per carenza di una reale volontà politica.
UNA NAVE IMBOTTITA DI AMIANTO
In un documento riservato del Comando in Capo della Squadra Navale – Ufficio Naviglio, inviato ai Comandi delle unità dipendenti nel febbraio del 1987 – si chiedeva di verificare che “tutti gli elementi di scafo e A.M. (tubolature, condotte aria, paratie) coibentati con prodotti presumibilmente contenenti amianto fossero regolarmente fasciati in modo sigillato evitando così il trasporto e la diffusione del materiale con l’aria di ventilazione”.
In un altro documento del febbraio 1989, la Direzione dell’Arsenale di Taranto avvisava Maridipart: “Nave Veneto dovrà sbarcare l’equipaggio nel più breve tempo possibile, in quanto la presenza di grandi quantità di materiale coibente a base di amianto renderà necessario adottare particolari procedure nella fase di coibentazione di macchinari, tubolature e paratie; non consentirà la normale vita a bordo, la qualche intralcerebbe l’abbattimento e la rimozione della rilevante quantità di fibre di amianto che si produrrà inevitabilmente”.
Nel giugno del 2003, un ulteriore documento intestato all’Incrociatore Vittorio Veneto conteneva informazioni sulla mappatura del materiale contenente fibre di amianto, messa a punto in base agli esiti degli esami di laboratorio effettuati nel marzo dello stesso anno. Risultati che non lasciavano dubbi sulla gravità della situazione.
LA STORIA
L’incrociatore lanciamissili Vittorio Veneto (C 550) ex nave ammiraglia della Marina Militare, in servizio dal 1969 al 2003, è la seconda unità italiana a portare questo nome dopo la nave da battaglia Vittorio Veneto della seconda guerra mondiale. Nel corso della sua attività l’incrociatore Vittorio Veneto ha partecipato a numerosissime esercitazioni nazionali ed internazionali, svolgendo sempre la funzione di nave comando di gruppi di scorta a unità portaerei o di convogli complessi.
Nell’inverno e nella primavera del 1973 il Vittorio Veneto ha partecipato con l’Andrea Doria e il 3º Gruppo elicotteri al soccorso delle popolazioni colpite dalle alluvioni in Tunisia. Più tardi prese parte alle operazioni di soccorso delle popolazioni nazionali colpite dai terremoti del Friuli nel 1976 e dell’Irpinia nel 1980.
Fra il 7 luglio e il 20 agosto del 1979 il Vittorio Veneto, con l’incrociatore Andrea Doria e con il rifornitore di squadra Stromboli, ha costituito l’VIII Gruppo navale che nelle acque del Golfo di Thailandia e nel Mar Cinese Meridionale ha incrociato in soccorso dei “boat people”.
Il Gruppo navale soccorse e portò in Italia al rientro a Venezia circa un migliaio di profughi vietnamiti che fuggivano dal loro paese. Nel febbraio del 1984, nel corso del primo impiego di truppe italiane al di fuori del confini nazionali dalla fine della seconda guerra mondiale il Vittorio Veneto, sotto l’egida dell’O.N.U., partecipò alla seconda fase della operazione “Libano Due”, scortando i convogli da e per l’Italia e garantendo l’appoggio e la copertura dei contingenti nazionali schierati a Beirut.
Con l’entrata in servizio del nuovo incrociatore portaeromobili Giuseppe Garibaldi, avvenuta il 30 settembre del 1985, il Vittorio Veneto ha perso il ruolo di nave ammiraglia ma non ha smesso di ricoprire ruoli importanti, partecipando attivamente a tutte le più importanti esercitazioni nazionali ed internazionali.
Ha smesso di essere operativa dal 1º novembre 2003 ed è in disarmo dal 29 giugno 2006, quando gli sono stati tolti gli otturatori dai cannoni e gli stessi sono stati tagliati e sigillati con tappi di bronzo. Il Vittorio Veneto era in predicato di diventare la prima nave-museo italiana; era stata annunciato che la realizzazione sarebbe stata effettuata entro il 2010, ovvero poco prima delle previste celebrazioni del 150º anniversario dell’Unità d’Italia che si svolsero nel 2011 ma com’è noto i termini dichiarati non sono mai stati rispettati.
Nave Vittorio Veneto tra amianto e oblio, Liviano sollecita le istituzioni
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