Elezioni: candidati che tengono il piede in due scarpe, una scelta inopportuna

Emiliano togaFoto di Dagospia

TARANTO – Ci sono, o meglio, ci dovrebbero essere, nella politica questioni di opportunità sulle quali dovremmo riflettere e trarne eventualmente delle conclusioni. Un direttore o direttrice di un museo o di una biblioteca potrebbero certamente essere candidati ideali a rappresentare una città in consiglio comunale. Quale miglior biglietto da visita per una città l’essere governata da un esponente del mondo della cultura, soprattutto se in gamba?

La ripresa del proprio incarico di lavoro a fine del mandato politico eventualmente ricevuto con le elezioni, non sarebbe in alcun modo condizionato dall’esperienza istituzionale vissuta. Un magistrato, invece, seppur onesto, indipendente e incorruttibile, non dovrebbe, a nostro parere, proporsi alla politica senza aver prima abbandonato definitvamente il suo ruolo lavorativo che non può essere soggetto al minimo sospetto di condizionamento ideologico o di potere.

Sulla questione è attualmente in corso un dibattito serrato anche dentro la stessa magistratura – pensate al caso Emiliano – che potrebbe porre dei limiti alla sempre crescente presenza di giudici nel mondo della politica che si astengono dal dimettersi dai ruoli lavorativi. Riteniamo che perfino un preside di una scuola dovrebbe sentire l’esigenza di evitare di candidarsi a ruoli politici in quanto la direzione didattica è cosa seria che richiede oggettiva indipendenza e imparzialità spesso in antitesi con l’appartenenza politica.

Ciò potrebbe sembrare addirittura una esagerazione ma, a nostro parere, l’indipendenza di una scuola dalla politica è un aspetto fondamentale della nostra società a garanzia della libertà di pensiero e insegnamento. E il direttore o direttrice di un carcere come dovrebbe comportarsi? Ritengo che chi riveste tale funzione esercita già di per se un ruolo istituzionale molto importante. Egli o ella ha già ricevuto una carica istituzionale dallo Stato diversa da quella che la politica darebbe.

È un ruolo che richiede assoluta indipendenza e che dovrebbe essere svolto senza alcun condizionamento politico o comunque senza alcun sospetto che ciò possa avvenire. È vero che il carcere deve essere un mondo aperto alla società civile, ma deve essere governato da chi ha le mani libere da qualunque interesse diverso da quello che il proprio ruolo richiede.

Come conciliare allora la libertà di schierarsi politicamente con il proprio ruolo in alcuni ambiti lavorativi? La soluzione sarebbe questa: avere il coraggio di dimettersi e fare una scelta di campo. Un magistrato, un direttore di un carcere, un preside, perfino un prete, prima di schierarsi e proporsi alle elezioni, dovrebbero dare le dimissioni definitive dal proprio incarico fino ad allora ricoperto. Sarebbe segno di conquistata indipendenza e assoluta libertà d’azione, elementi che verrebbero certamente riconosciuti a proprio onore. Certo, tenere il piede in due scarpe può, a volte, apparire del tutto sconveniente.

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