E il vecchietto dove lo metto? – L’estate “amara” degli anziani

 

Una vecchia strofa di un testo cantato da Domenico Modugno, recitava così: “E il vecchietto dove lo metto, dove lo metto non si sa”. Questa canzone fece molto scalpore all’epoca, e parliamo degli anni 70. Ma il ritornello risulta attuale anche oggi, soprattutto d’estate quando ad essere abbandonati non sono solo i cani o gli animali in generale ma anche gli anziani.

Li vedi, quasi tutti uomini, riempire le panchine delle piazze a chiacchierare tra di loro e a passare il tempo guardando la gente che passa. Qualcuno scambia due parole con il proprio cagnolino e qualcun altro organizza una partitina a carte a un tavolino del bar che gentilmente gli offre oltre che l’appoggio anche un bicchiere di acqua fresca e l’ombra della propria tettoia. Molti sono rimasti completamente soli perché i figli sono in vacanza all’estero per quei fatidici quindici giorni all’anno e altri non hanno mai avuto nessuno e nemmeno sanno se quelli che un tempo erano i loro figli sono in vacanza oppure no. Di fatto, i parenti non ci sono. Ma per fortuna ci sono gli amici. E così ci si stringe intorno per dirsi e raccontarsi che in fondo si sta meglio così.

Riguardo alle donne, la situazione sembra ancora più grave perché sono e restano chiuse in casa. Hanno da fare, dicono. C’è da spazzare, da preparare il pranzo e la cena e con il caldo torrido e l’età che porta ogni gesto al rallentatore, il tempo va via velocemente. E c’è sempre tanto da sbrigare. Uscire, no. E per andare dove? Se il marito – qualora fosse ancora in vita – cerca di svagarsi e di respirare un po’ di aria ai giardinetti con gli amici, loro non sono così organizzate, nemmeno si conoscono e mai, neanche lontanamente, penserebbero di ribaltare il modus vivendi e di pianificare un incontro, un uscita…

E per costoro, la vita è già fortunata. Ci sono poi i vecchietti consegnati momentaneamente da qualche parente lontano, che per i mesi luglio e agosto, ha deciso di restare in città, oppure quelli depositati in un istituto dove la coscienza viene acquietata dal pavimento lindo, il sorriso stampato sul volto degli operatori e da un bel gruppetto di anzianotti che non attendevano altro che l’arrivo di un nuovo ospite.

Ma proviamo per un attimo a rivoluzionare la mente e il cuore. Dovremmo rivalutare il nostro rapporto con gli anziani, a partire dal nostro atteggiamento mentale, dal nostro pregiudizio, dal nostro dare per scontato che sono fatti così e che sono fatti colà. E anche se può apparire scontato e banale ripetere che un anziano non è un fastidio o un ingombro ma una risorsa, un’opportunità, un’esperienza di vita che ci viene offerta, dovremmo invece proprio cominciare a vederla così.

Ci basterà aprirci alla curiosità, alla disponibilità e all’attenzione per scoprire tutto un mondo che appartiene anche a noi e soprattutto ci apparterrà nel futuro, neanche troppo lontano, indipendentemente dall’età che oggi ci ritroviamo ad avere. Perché allora non costruirci una nuova prospettiva?

Un anziano che sta male, che è sempre chiuso in se stesso, che vive lo sconforto e l’abbandono, che è sempre triste e ormai sfiduciato è un anziano che apporta il suo malessere anche in tutta la società. Il suo sorriso, la sua voglia di valere ancora per il mondo e per chi gli è accanto, è un anziano, non solo che vive bene – e quindi ha una condizione di salute psico-fisica migliore – ma è soprattutto un anziano che trasmette anche benessere e che può dare ancora molto dal punto di vista pratico.

Dovremmo cominciare a “sfruttare”, se così mi permettete di dire, tutte le risorse umane che abbiamo e sfruttarle al meglio, trasformando chi ormai pensa di essere sulla strada del non ritorno e quindi fuori da ogni entusiasmo e orizzonte, in qualcuno che si dice: “finché non è davvero finita darò il mio contributo, in qualunque modo sia”.

E non pensiamo soltanto alle condizioni estreme già accennate ma consideriamo anche condizioni apparentemente migliori, quelle dove l’anziano è in casa con noi e non viene abbandonato in nessun altro posto ma resta relegato nella sua stanza o nel suo letto, in silenzio e in compagnia solo dei suoi fantasmi. Non gli parliamo più perché tanto ripete sempre le stesse cose. Lo salutiamo appena, giusto per fargli capire che ci siamo, e lo sistemiamo a tavola con noi ma senza renderlo mai veramente partecipe della nostra vita perché tanto è andato via di testa.

Eppure, ciascun anziano è stato un giovane, con le sue passioni, i suoi amori traditi e le sue piccole e grandi battaglie della vita, con le sue aspirazioni negate e i suoi successi. Ogni anziano è il protagonista di un romanzo, il suo. Ma noi magari preferiamo acquistare l’ultimo best seller uscito in libreria, quello che magari parla proprio di un tipo come nostro nonno che all’età di diciannove anni aveva conosciuto una donna bellissima ma proibita e se ne era innamorato perdutamente.

Mai ci sogneremmo di ascoltare un romanzo di vita realmente vissuto. E solo quando accompagniamo il vecchietto nel suo ultimo viaggio forse ci chiediamo: “chissà quali segreti nascondeva” oppure, ci diciamo:”non sapevo quasi nulla di lui”. Cinque minuti di ascolto rendono felice l’altro e di certo possono indurre a riflessioni nuove noi, una carezza, un sorriso sincero arricchisce l’altro e arricchisce anche noi stessi.

Dunque, per questa estate, cambiamo un po’ le carte in tavola. Prendiamola come un gioco, un’avventura, diciamoci: vediamo cosa accade. Magari, anziché organizzare viaggi complicati in luoghi improbabili o serate all’insegna di uno sballo – che poi in realtà non riesce mai veramente a sballarci perché ci toglie anziché darci – perché non ci trasformiamo davvero in alternativi? Perché non cominciamo davvero ad andare controcorrente? Ad essere unici e ribelli sul serio?

Andiamo a mangiare un gelato, una sera, con nostro nonno e se si sbrodola che faccia pure, ci faremo quattro risate insieme e quelle risate le ricorderemo per tutta la vita. Oppure, portiamo la nonna in riva al mare e facciamola danzare e cantare a squarciagola quella canzone che a lei piaceva tanto in gioventù. Permettiamo anche a loro di fare qualche pazzia ogni tanto, di riscoprire il gusto della vita. E che gli altri guardino pure.

Per una volta tanto non guarderanno perché stiamo ci stiamo scolando una birra o perché teniamo lo stretto troppo alto – cose ormai banali e consuete – ma ci fisseranno perché stiamo ridando energia al mondo, stiamo facendo qualcosa di realmente diverso, qualcosa che nessuno mai osa fare. La nostra originalità potrebbe diventare contagiosa, estendersi sui social, diventare virale, come suol dirsi ora. Potremmo diventare degli eroi, dei personaggi e influenzare il comportamento di molti altri. Pensate che bel mondo diverrebbe!

elisa

A cura di Elisa Albano

Psicologa – Scrittrice

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