Taranto è chiamata a giocare un ruolo da capofila nella lotta ambientalista

Corteo Altamarea

I comitati per il si, gli ambientalisti, tanta parte della società civile hanno dato il massimo in termini di impegno per una sfida che si sapeva essere impossibile già dall’inizio. Troppo pigra e poco informata la maggior parte della gente per andare a votare. Seppur la maggioranza degli italiani fosse a favore del mancato rinnovo delle concessioni per le estrazioni di idrocarburi nelle 12 miglia, in tanti non hanno espresso il proprio diritto di decidere, impedendo il raggiungimento del quorum necessario per validare il referendum.

Nella sconfitta, a Taranto, abbiamo almeno la parziale consolazione di aver superato di circa 10 punti la percentuale media di votanti in Italia. Non è un risultato da poco, considerando che chi si è recato a votare ha generalmente compreso il quesito referendario e ha sposato le tesi ambientaliste. È segno di un buon lavoro svolto dai comitati NO TRIV ed è un buon punto di partenza per le prossime lotte. Era una tema difficile e molto tecnico quello proposto nel dibattito che ha preceduto il referendum e ciò non ha facilitato la partecipazione al voto, soprattutto di chi guarda ormai la politica con diffidenza o indifferenza e, quindi, non è il caso di scoraggiarsi.

Consideriamo il referendum appena svolto come una prova generale per battaglie ancora più importanti ed impegnative di quella che nei prossimi mesi ed anni ci troveremo a sostenere. Taranto, ormai divenuta città simbolo della lotta ambientalista, si trova, suo malgrado, ad avere un ruolo centrale in più vicende che riguardano le politiche industriali ed energetiche dell’Italia. Politiche che hanno puntato su acciaio e petrolio, due prodotti che hanno caratterizzato la seconda metà del secolo scorso e le economie dei tanti paesi produttori e utilizzatori di essi.

Paesi cosiddetti sviluppati che ci hanno tirati su a pane e petrolio e che hanno incentivato sempre più l’aumento del parco auto mondiale che è arrivato a ben oltre un miliardo di veicoli circolanti, con tutte le conseguenze che ciò comporta su ambiente e clima. E su auto e acciaio ha puntato l’Italia a partire dagli anni ’50 e ’60, non potendo fare altrettanto col petrolio. La modernizzazione passava da Torino che con la Fiat motorizzava gli Italiani e anche da Taranto e dalle altre acciaierie a ciclo integrato (Cornigliano, Bagnoli) che garantivano la produzione del prodotto che le altre industrie poi utilizzavano.

E se per Fiat, quando le cose andavano non troppo bene, c’erano gli aiuti di Stato, per l’Italsider, che di Stato era, il vero aiuto economico era la mancanza di regole precise per la tutela di salute ed ambiente. Ma dagli anni ’60 ad oggi, pian piano, il mondo è cambiato e negli ultimi anni assistiamo ad un eccesso di produzione di acciaio nel mondo e ad un eccesso di estrazione di petrolio, con calo dei rispettivi prezzi. Inoltre, il mercato delle auto prima o poi subirà una rivoluzione per l’introduzione di modelli che sempre più sfrutteranno le energie rinnovabili.

Aumentano infatti i veicoli elettrici e si aspettano ormai le nuove generazioni di accumulatori di energia al litio che accelereranno i tempi di ricarica e aumenteranno l’autonomia dei veicoli. Ma finché il mondo non cambierà del tutto, Taranto resterà strategica per l’Italia e il suo ruolo di polo industriale verrà in tutti i modi puntellato dalla politica nazionale, continuando addirittura a scavalcare diritti primari della popolazione come quello della salute.

E allora, le forze ambientaliste a Taranto avranno un compito enorme: contrastare le fonti inquinanti presenti in loco (grandi industrie) e le opere in fase di realizzazione (infrastrutture per trasporto petrolio), ma nel contempo stimolare, facendo rete con i movimenti nazionali, politiche che guardino al futuro, incentivando quella rivoluzione tecnologica che porterà ad abbandonare o limitare l’uso del fossile. E Taranto deve, per la sua grande storia di lotta ambientalista, fare da capofila in questa battaglia per il futuro.

Determinante sarà trovare l’unità delle forze che vogliono il cambiamento, andando oltre la sola protesta, ma proponendo veri e propri modelli di sviluppo alternativi a quelli attuali che sfocino poi in programmi politici vincenti. Se l’ambientalismo dovesse perdere la sua battaglia a Taranto, sarebbe una sconfitta per tutta l’Italia che guarda ad un futuro migliore. Una grande responsabilità, quindi, quella che avrà la nostra città nel rappresentare le istanze di chi vuol contrastare politiche di sfruttamento del territorio basate sul solo profitto.

Giuseppe Aralla

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