Ilva: il futuro e la spada di Damocle degli esuberi

TARANTO – Diversi spunti di riflessione sono emersi dal dibattito promosso questa mattina da Cgil e Fiom sul futuro di Ilva.  Quasi tutti i relatori hanno richiamato in premessa l’enorme spreco di tempo di cui sono stati responsabili i governi succedutisi dal 2012 ad oggi. Quattro anni sono passati dall’esplosione della crisi Ilva, diversi i cambi di passo cui ci è toccato assistere, e ancora il futuro dell’azienda è tutt’altro che definito. Se si voleva dare una dimostrazione della totale assenza di visione strategica da parte dei “piani alti”, si è pienamente centrato l’obiettivo. Su questo sfondo si stagliano almeno tre ordini di problemi.

1) Quello dei futuri acquirenti è forse il punto decisivo. Ilva ha bisogno di un assetto proprietario stabile. Su questo punto, ben venga la disponibilità di Cassa Depositi e Prestiti a entrare in cordata, ma per garantire allo Stato un ruolo di controllo nella futura compagine occorre che la partecipazione di CDP non si limiti a una quota simbolica. Più complessa la questione degli altri eventuali soci: quale capacità finanziaria e quali prospettive industriali sono in grado di garantire? Giustamente si è segnalato che la situazione patrimoniale di alcune società che hanno manifestato interesse per Ilva è tutt’altro che solida. Occorre guardarsi da chi potrebbe voler cannibalizzare Ilva trasferendole i suoi debiti e, al contempo, acquisendone le quote di mercato.

2) Altro tema fondamentale è quello del futuro assetto industriale. Circola da tempo la suggestione del modello “ibrido”, riproposto oggi dal sen. Mucchetti. In sostanza, si tratta della sostituzione di AFO5 (il più grande dello stabilimento) con due forni elettrici, in parte alimentati da minerale preridotto – che verrebbe realizzato in un impianto ad hoc integrato al siderurgico. Ipotesi affascinante, in grado di garantire performance ambientali migliori di quelle che il completamento della stessa AIA assicurerebbe, oltre che una gestione più flessibile del processo. Tuttavia nessuno al momento ha fatto i conti con la fattibilità tecnica e con la sostenibilità economica di questa opzione (problema richiamato nella relazione di Colombo). Non sfugge – a chi conosce il ciclo siderurgico – che un’innovazione di quel tipo provocherebbe uno sconvolgimento del bilancio energetico dello stabilimento, e quindi della struttura dei costi.

3) C’è poi un problema che oggi, finalmente, è emerso in tutta la sua drammaticità: a quanto ammonterebbero gli esuberi nel caso in cui si adottassero soluzioni diverse da quelle contemplate nell’AIA? E come verrebbero gestiti, posto che il Jobs Act ha drasticamente ridotto l’accesso agli ammortizzatori sociali? Questo è un tema che pende come una spada di Damocle sul futuro della nostra comunità.

conversano cgilInfine, è opportuno segnalare l’allarme lanciato dal dottor Conversano sullo stato della sanità a Taranto. Credere di affrontare l’emergenza sanitaria che continuerà a caratterizzare la città per molti anni ancora con la dotazione di cui attualmente dispongono le strutture sanitarie del territorio, è come pensare di svuotare l’oceano con un secchiello.

Particolarmente incresciosa appare la situazione del Centro Salute Ambiente, forse la principale conquista ottenuta dalla nostra comunità nella vertenza ambientale degli ultimi anni – grazie al lavoro di ARPA Puglia e del Dipartimento di Prevenzione della ASL. Quella struttura, a cui spetta il compito di aggiornare le indagini epidemiologiche, di effettuare screening sulla popolazione, e di attivare una serie di attività volte alla prevenzione, oggi si basa essenzialmente sul lavoro di giovani precari.

Giovani professionisti, ricercatori, tecnici che si è riusciti (quasi miracolosamente) a trattenere in una città in cui l’emigrazione intellettuale ha raggiunto livelli drammatici, e che rischiamo di perdere di qui a breve – insieme a tutto il lavoro da essi svolto negli ultimi anni. Su questo argomento l’attenzione delle istituzioni pubbliche e della società civile dovrebbe essere massima, e invece si è costretti a constatare un assordante silenzio. In conclusione, c’è da sperare che il dibattito su questi temi continui e si arricchisca di contributi qualificati. Come ha sottolineato Susanna Camusso nelle sue conclusioni, servono pensieri, non slogan, per affrontare la difficile fase in cui ci troviamo. Una considerazione che vale per l’intero paese, ma che a Taranto assume particolare urgenza.

Salvatore Romeo

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