Utero in affitto: interrogativi a ruota libera – Elisa Albano

 

Un argomento così attuale e scottante come l’utero in affitto (o più propriamente la maternità surrogata), non può oggi non indurre a fermarci qualche attimo in più a riflettere. O meglio, a provare ad analizzare la questione da più punti di vista, a porci degli interrogativi. Ecco, è proprio questo e solo questo che faremo. Senza prendere parte, troppo banalmente, per un sì o per un no, concediamoci un po’ di tempo per porci qualche sana domanda, perché, in questa epoca frenetica e in continua evoluzione, credo che il più grande danno per l’umanità e per il singolo essere umano sia proprio non chiedersi più nulla.

Quando entriamo in questo vortice di annebbiamento totale rispetto a tutto ciò che ci viene propinato, senza avere il tempo e tanto meno la voglia di investigare su chi siamo, cosa sentiamo, cosa pensiamo e cosa vogliamo, diventiamo molto più plasmabili e condizionabili, terreno fertile, cioè, per la piantumazione di qualunque idea, concetto, preconcetto, ideologia o falso bisogno. Dunque, ipotizziamo un certo scenario, che guarderemo come se stessimo assistendo al trailer di un  film in uscita prossimamente nelle sale di tutta Italia.

In questo scenario ci sono dei protagonisti principali: due soggetti legati sentimentalmente tra loro, indipendentemente dal sesso di questi, con il forte bisogno di viversi la genitorialità ma impediti nel raggiungimento del loro scopo da problematiche varie. C’è poi una donna, che al di là dei motivi personali, si dichiara disponibile ad offrire, dietro compenso, il proprio utero per la realizzazione del bisogno (o del sogno) della coppia. Ultimamente, entra in gioco anche una quarta protagonista.

Ebbene, sì, perché pare che si sia giunti alla conclusione che tre attori non siano sufficienti a garantire che non si verifichino fatti incresciosi, definiamoli pure così, legati alla sfera emotiva, affettiva, psicologica, dei protagonisti, fattori che andrebbero poi ad intralciare e scomporre un ingranaggio così arzigogolato. La quarta attrice avrebbe il ruolo di sola donatrice di ovulo. E c’è anche un gruppo di attori apparentemente meno importanti, quasi come fossero comparse, che restano sullo sfondo, pur dirigendo il movimento sincronizzato di tutto questo ingranaggio, perché diviene fondamentale che gli attori restino anonimi tra loro e quindi qualcun altro deve agire da collante.

Per cui, sintetizzando al massimo, senza considerare le numerose varianti, e sperando di non incorrere in qualche errore interpretativo – cosa per la verità, a mio avviso, facile – i due futuri genitori ordinano un figlio a una certa agenzia, organizzazione o associazione che sia, che si darà da fare a cercare una madre surrogata e una donatrice di ovulo (evitando così che la madre surrogata divenendo anche donatrice di ovulo possa un domani rivendicare la maternità). A giochi fatti, si parte. Si paga una “modesta” somma (visti i numerosi attori) che oscilla, a seconda dei paesi, delle agenzie, ecc, dai trenta ai centocinquanta mila euro e si attende che nasca il tanto ambito figlio. A questo punto io comincerei con la serie di interrogativi.

Nell’organizzare questo macchinoso ingranaggio, quanta attenzione è stata posta al fattore umano, psicologico, emotivo di tutti gli attori sul set? Sono stati considerati questi aspetti, al di là degli affari legali e di impiccio che possono comportare, ma proprio come vissuti? Cosa prova questa madre surrogata, portando in grembo questo essere vivente che anche se non totalmente, per un terzo è pur sempre figlio suo? Ha dei sentimenti nel corso di questi nove mesi? O vive nella più assoluta indifferenza il fatto che una gravidanza non è comunque mai una passeggiata.

Le sofferenze, fisiche, gli eventuali malesseri, le cure necessarie, le visite a cui sottoporsi, il seguire passo dopo passo, attraverso un monitor la formazione di un corpicino che non le dovrà poi mai appartenere, la lascia totalmente indifferente? Basterà il fatto che l’ovulo non è suo a farla sentire distaccata emotivamente da inevitabili piccoli o grandi scompensi fisici che dovrà subire e superare? Si obbligherà a una freddezza emotiva nei confronti di chi ha in grembo, quindi, senza mai parlargli, coccolarlo mentalmente e fargli sentire il suo amore?

Oppure agirà normalmente, proprio come se fosse suo, donandogli tutte quelle attenzioni viscerali che ormai medici, psichiatri, pediatri e psicologi riconoscono come fondamentali per il sano sviluppo psico-fisico di un bambino, sin dal grembo materno? Perché, nel primo caso, se si vive il distacco emotivo, quel figlio rischia di nascere già con delle predisposizioni a una scarsa stima di sé che lo porterà ad essere un giovane ed un adulto con poco amore per se stesso. Quali garanzie si possono avere che la madre surrogata avrà fatto tutto il possibile per coltivare un buon terreno? O pensiamo che basti assicurarsi l’ereditarietà di un ovulo eccezionale, di cure fisiche impeccabili e di un amore incondizionato – sperando che tale sia – che inizi ad essere elargito poi solo dal momento della nascita? Può anche darsi che davvero basti così. Ma intanto chiediamocelo.

E ancora. Cosa accade al momento della nascita? Il distacco è davvero così indolore e veloce, dopo un travaglio e un parto? Quali pensieri e sentimenti, negativi o positivi, hanno attraversato la mente di questa donna? Quanto di tutto questo è stato percepito da chi sta per nascere o ha già emesso il primo vagito? E quanto di tutto questo verrà conservato dentro di sé? Una volta cresciuto, questo figlio, potrà sentire il bisogno, anche solo una volta, nella sua vita, di conoscere chi lo ha partorito e/o chi ha donato una parte di ciò che lui oggi è?

Cosa farà? Si metterà alla ricerca delle sue pur sempre madri, servendosi di una delle tanti trasmissioni televisive oppure lascerà perdere, pensando che infondo non ne vale la pena, visto che i suoi veri genitori sono quelli che lo hanno allevato, curato e amato? Visto che una vita è generalmente molto lunga, potrei continuare anch’io all’infinito, rendendo questo articolo esageratamente lungo, quindi concluderò con un ultimo breve gruppo di domande spostando ora il mio punto di vista.

Cosa può accadere a livello emotivo, psicologico e comportamentale all’interno della coppia che ha ricevuto il tanto desiderato figlio? Sicuramente la gioia sarà infinita. Sì? O forse no? O forse così, così? Potrebbe verificarsi ad esempio che come tutte le cose estremamente desiderate poi perdano gran parte del loro valore una volta ottenute? E se la coppia, a un certo punto della sua vita insieme comincia a fare acqua a livello relazionale, cosa accade? Quali sottili rancori, rivendicazioni o esclusioni si possono innescare?

Potrà risultare più facile, ad esempio, per la madre, o il genitore, che non ha in gioco nessuna parte di sé in quel figlio che sta crescendo, aprire la porta e andare via? Oppure, potrà risultare più facile scaricare le proprie frustrazioni, i propri rancori su un compagno o una compagna che appare più legato/a al figlio/a perché lo sente realmente suo? Potrà risultare più facile anche scaricare avvilimenti e insuccessi su un bambino o un giovane portatore di aspetti che non si riconoscono?

Spero di aver offerto qualche spunto di riflessione. Solo questo era il mio scopo. Perché, lo ripeto, al di là di un troppo banale sì o no, bisogna cominciare a prepararsi a tutta una serie di problematiche psicologiche e relazionali nuove. Se la famiglia cosiddetta tradizionale oggi appare tanto bisognosa di trovare o ritrovare un equilibrio relazionale che aiuti tutti i membri a crescere e a vivere in modo sano, rispettoso e dignitoso, anche queste nuove forme di famiglia, potrebbero un giorno ritrovarsi con delle dinamiche interne non preventivate e a cui bisognerà saper dare una risposta. Ciò che conta è non dimenticare mai il fattore umano, perché siamo esseri umani.

elisaA cura di Elisa Albano

Psicologa – Scrittrice

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