TARANTO – Il 2 febbraio di ogni anno si ricorda la firma della Convenzione di Ramsar, meglio conosciuta come Convenzione Internazionale sulle Zone Umide, un trattato adottato il 2 febbraio 1971 nella città iraniana di Ramsar che rappresenta il primo dei moderni trattati intergovernativi sulla conservazione e l’uso sostenibile delle risorse naturali.
L’Italia ha aderito ufficialmente alla Convenzione attraverso il decreto del Presidente della Repubblica n. 488 del 13 marzo 1976 – “Esecuzione della Convenzione relativa alle Zone Umide di importanza internazionale”, in riferimento alla protezione degli habitat degli uccelli acquatici. Successivamente con il D.P.R. n. 184 dell’11 febbraio 1987 – “Esecuzione del Protocollo di emendamento della Convenzione internazionale di Ramsar del 2 febbraio 1971 sulle Zone Umide di importanza internazionale” adottato a Parigi il 3 dicembre 1982, ha sottoscritto quella che è la missione della Convenzione cioè “la conservazione e l’uso corretto delle zone umide tramite l’azione nazionale e internazionale di cooperazione per raggiungere uno sviluppo sostenibile”.
Le zone umide sono ambienti naturali, semi-naturali o artificiali, con acqua dolce, salmastra o salata, in cui le comunità biologiche presenti sono fortemente influenzate da caratteristiche fisico-chimiche e morfologiche quali estensione, profondità e salinità delle acque. Nella prima metà del secolo scorso le zone umide sono state sistematicamente prosciugate con vasti programmi di bonifica per far posto a zone di coltura o di allevamento. Attualmente la maggiore conoscenza ha portato a riconoscere il valore naturalistico e scientifico di laghi, stagni e paludi perchè tutte le zone umide sono tra gli ambienti con la più elevata diversità biologica. Esse rappresentano, a livello mondiale, una delle tipologie di habitat più importanti per la conservazione della biodiversità.
Le zone umide sostengono infatti alte concentrazioni di organismi quali soprattutto uccelli, pesci e invertebrati, svolgendo anche l’importante funzione di nursery; forniscono inoltre una gamma di servizi ecosistemici essenziali per le comunità umane, tra cui la depurazione delle acque, il controllo delle inondazioni e l’approvvigionamento alimentare. Inoltre, la loro funzione di corridoi migratori per molte specie favorisce la colonizzazione di nuovi ambienti e lo scambio genetico.
Nella provincia di Taranto, questi ambienti – un tempo assai più vasti – sono oggi distribuiti in maniera frammentata e spesso soggetti all’incuria e al degrado. Nell’area del Mar Piccolo, questa tipologia di habitat è ben rappresentata nella Riserva Regionale Orientata Palude La Vela, dove la presenza di un substrato impermeabile ha consentito la formazione di una zona umida paludosa il cui valore è dimostrato dalla presenza di specie e habitat naturali di interesse comunitario.
Durante l’ inverno, uccelli provenienti dall’Europa settentrionale, sospinti verso sud dai rigori del clima nordico, scelgono di passare qui la stagione fredda ed è possibile osservare: anatre, limicoli, aironi, rapaci etc. Tutto ciò in un contesto paesaggistico che contraddistingue questo ambiente non solo sotto l’aspetto scientifico, ma anche culturale. Purtroppo le minacce che incombono sulle zone umide sono tantissime e la pressione umana ha raggiunto livelli impressionanti. Difatti, le attività antropiche quali inquinamento agricolo, industriale e urbano incidono negativamente sul corretto funzionamento di questo delicato ecosistema a cui si aggiunge l’arrivo di specie aliene etc.
Tutta la Puglia, per la sua conformazione geografica, è ricca di questa tipologia di ambienti umidi che gli inglesi chiamano “Wetlands”, ma spesso chi ci vive a stretto contatto non conosce la loro reale valenza. Occorre accrescere quindi nell’opinione pubblica la consapevolezza che la salvaguardia e il ripristino delle zone umide è urgente e vitale per la sicurezza idrica, la biodiversità, la regolazione del clima, lo sviluppo sostenibile e la salute umana.
Questa mattina abbiamo accolto i visitatori nella Riserva La Vela che hanno voluto avvicinarsi a questo ambiente e scoprirne le sue peculiarità. Il 2 febbraio non deve essere solo una mera celebrazione ma un atto di sensibilizzazione che deve riguardare tutti, a partire dai cittadini sino ai livelli più alti della politica.
“La difesa della biodiversità ha gli stivali sporchi di fango”
Lilia Candida, divulgatrice del WWF Taranto OA
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