TARANTO – Riceviamo e pubblichiamo un contributo del dottor Giuseppe Aralla, biologo.
Il 2 marzo 2011, lo studio tecnico incaricato da una piccola azienda che opera nella zona industriale di Statte, rispondeva in questo modo alle prescrizioni formulate nell’ambito della Conferenza dei Servizi del 13 dicembre 2010 al punto in cui si chiedeva di predisporre idonei interventi di risanamento della falda che risultava, da analisi effettuate, particolarmente compromessa: “I dati generali emersi anche dalla Conferenza dei Servizi del 13 dicembre 2010 indicano uno stato di inquinamento diffuso della falda. L’area in esame rappresenta una porzione assolutamente insignificante dell’intera area compromessa e non essendo tra l’altro fonte di inquinamento, non si ravvisa alcuna possibilità di intervento locale rispetto alla palese macroscopicità del problema”.
Ciò che via via diventava sempre più evidente dall’analisi delle caratterizzazioni effettuate dalle singole aziende per l’ottenimento delle autorizzazioni necessarie per svolgere attività produttiva, viene definitivamente confermato a fine 2012 da SOGESID S.p.a., ditta incaricata dal Ministero dell’Ambiente di effettuare un grosso studio di caratterizzazione dell’intera area SIN, comprensiva della fascia costiera demaniale. I risultati indicano come per 12 analiti su 97 investigati vi siano superamenti delle CSC (concentrazioni soglia consentite) e cioè per: Alluminio, Antimonio, Argento, Arsenico, Berillio, Ferro, Piombo, Selenio, Manganese, Tallio, Nitriti, Solfati.
Inoltre, per quanto riguarda la falda superficiale, la totalità dei piezometri installati sono interessati da almeno un superamento delle CSC e cioè 6 per un solo parametro, 17 per due parametri, 19 per tre parametri e 10 per quattro o più parametri. Si è evidenziata lungo tutta la fascia costiera una contaminazione da metalli della falda superficiale e in particolare questa è diffusa per Tallio e Antimonio con superamenti fino a quattro volte le CSC. Le aree ubicate lungo il perimetro del SIN adiacente al quartiere Tamburi presentano superamenti diffusi oltre i limiti consentiti. Particolarmente preoccupante la presenza quasi costante del Tallio, un metallo decisamente tossico la cui origine può derivare da processi industriali di stabilimenti siderurgici e cementifici.
Già nel 2010, Ilva aveva presentato uno studio di caratterizzazione che riguardava la falda superficiale e profonda. I dati erano risultati decisamente allarmanti. Superamenti, per quanto riguarda la falda superficiale, per Manganese, Ferro, Alluminio, Arsenico, Cianuri totali, Dicloropropano, Benzo(a)pirene, Benzo(a)antracene, Triclorometano, Nichel, Benzo(k)fluorantene, Cromo esavalente, Benzene, Benzo(g,h,i,)perilene, Indenopirene, Benzo(b)fluorantene, Dibenzo(a,b,)antracene, ecc. Per quanto riguarda la falda profonda, i superamenti riguardavano: Piombo, Ferro, Manganese, Triclorometano, Alluminio, Tetracloroetilene, Cromo, Nichel, Arsenico, Benzo(a)antracene, Benzo(a)apirene, Benzo(k)fluorantene, 1,2Dicloropropano, Indenopirene.
Che la falda profonda presenti dei valori di inquinanti superiori alla CSC è certamente cosa grave. In questo quadro di diffuso inquinamento del SIN si inseriscono gli interventi di bonifica e di messa in sicurezza di suolo e falda per evitare o ridurre la contaminazione delle aree adiacenti e il rischio per la salute dei lavoratori che potrebbero venire a contatto con acque e terra contaminate. Tra i vari interventi, alcuni prevedono, per esempio, la pavimentazione dei suoli calpestabili o la loro copertura con terre pulite (capping) o protezioni artificiali di origine sintetica. Così come pure, per quanto riguarda la messa in sicurezza della falda superficiale, si prevede, in alcune situazioni, di aspirare in modo forzato la acque per poterle filtrare in modo adeguato al fine di eliminare parte o la totalità degli inquinanti.
Molto più complesse e difficilmente realizzabili le operazioni di bonifica della falda profonda per l’alta pressione delle acque. Uno dei problemi che si trovano ad affrontare gli esperti che devono progettare le opere di bonifica è quello di riuscire ad intercettare i flussi di falda che, per la conformazione del territorio tarantino, tendono in buona parte a direzionarsi dall’area industriale verso il Mar Piccolo e l’area portuale del Mar Grande. Da qui nasce il quesito se è il caso o no di procedere, per esempio, a bonificare il I seno del Mar Piccolo senza aver prima messo completamente in sicurezza la falda che ivi scarica.
E questa è sicuramente un’impresa di non facile realizzazione che non può prescindere dalla messa in opera dei progetti che prevedano la completa canalizzazione e raccolta delle acque piovane nell’area siderurgica e lo sbarramento di falda ai confini del parco minerario. Bonifiche si, quindi a Taranto, ma queste non risolvono certamente in modo definitivo i problemi di inquinamento se non si bloccano definitivamente le fonti che lo originano. E la preoccupazione per il rischio salute aumenta soprattutto quando i superamenti interessano aree abitate, così come era accaduto nell’area della scuola Deledda.
In tale situazione, in cui il superamento delle CSC arriva ai limiti del centro abitato e in qualche caso lo supera, non si dovrebbe ragionare come si farebbe in altre zone d’Italia non minacciate da questo livello di inquinamento. Non si dovrebbe, cioè, in un territorio così saturo di inquinanti, ragionare in termine di rispetto dei limiti di emissioni. Sarebbe come dire ad un paziente cirrotico che, normalmente, si può bere un bicchiere di vino ai pasti. E in quest’ottica, qualunque altro progetto che preveda il seppur minimo aumento del rischio di contaminazione, dovrebbe essere rispedito al mittente da chi ci amministra. Taranto ha una ferita troppo grave da curare per poter reggere ad altri “attentati” al territorio.
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