Agroalimentare: i rischi dell’illegalità e le opportunità di rilancio

agroalimentareTARANTO – La criminalità organizzata è riuscita nel tempo a consolidare e, in taluni casi, a rafforzare il proprio status di grande holding finanziaria, in grado di operare, seppur in misura differente, sull’intero territorio nazionale e nella quasi totalità dei settori economici e finanziari italiani. Il fenomeno della contraffazione colpisce soprattutto le regioni ricche e quelle che hanno abbondanza di ‘made in Italy’ di eccellenza (Lombardia, Toscana, Veneto, Emilia Romagna, Puglia) oppure quelle che hanno grandi mercati, di tipo urbano, sui quali piazzare la merce contraffatta, magari in associazione con la presenza di organizzazioni criminali territoriali che hanno fatto della contraffazione un business.

La Commissione Parlamentare di inchiesta sulla contraffazione e sui fenomeni di pirateria commerciale, nell’ultima edizione disponibile (relativa al 2013), afferma che ogni anno arrivano in Italia 500.000 container dalla Cina, principalmente nei porti di Napoli (70%), Gioia Tauro (15%) e Taranto (10%). Le mani della mafie incombono sull’agroalimentare jonico, un settore che offre opportunità impedibili per il sano tessuto imprenditoriale della provincia di Taranto e di questo si è parlato nel corso del convegno organizzato dalla Fondazione Osservatorio sulla criminalità nell’agricoltura e sul sistema agroalimentare, con il contributo della Camera di Commercio di Taranto e in collaborazione con Coldiretti Puglia.

Il settore primario in provincia di Taranto produce oltre 414 milioni di euro in termini di valore aggiunto. Si tratta di una cifra piuttosto ragguardevole, considerando che incide sul totale della ricchezza prodotta in provincia per il 4,6%, a fronte di una media nazionale e regionale rispettivamente pari al 2% ed al 3,5% e nonostante la provincia tarantina si caratterizzi per la presenza delle acciaierie (i cui addetti sono circa il 10% della forza lavoro della siderurgia italiana), elemento che in termini statistici comprime l’incidenza degli altri settori. Nell’ambito del complesso della filiera agroalimentare in provincia di Taranto operano, a fine 2014, oltre 11.300 unità locali, ovvero il 27,5% del totale imprenditoriale.

L’identità territoriale e le emozioni che un territorio riesce a regalare a chi lo visita – ha dichiarato il presidente della Camera di Commercio di Taranto, Luigi Sportelli – sono, sempre più, anche vino, olio e buon cibo. Questo comparto anche a Taranto dovrebbe rappresentare tutto ciò, ma non è ancora così. E’ necessario chiedersi perché. Oggi l’Osservatorio e la Camera di commercio sostengono che per dare slancio a questo settore è fondamentale, fra l’altro,  riuscire ad abbattere gli ostacoli della criminalità, della contraffazione e delle sofisticazioni. In questa azione, il ruolo delle Forze dell’Ordine, della Magistratura e del Ministero dell’agricoltura è talmente rilevante che con orgoglio, come Istituzione, affermo di essere concretamente al loro fianco per creare insieme un contesto leale e pulito in cui operare come precondizione necessaria perché le imprese nascano e si consolidino, perché il lavoro dia i suoi frutti agli imprenditori ed ai lavoratori, perché il territorio sia credibile e attrattivo”.

Entrando nello specifico delle produzioni agricole e zootecniche, va specificato che i comparti di maggior rilievo per il sistema produttivo della provincia sono quelle vitivinicole (Taranto 26,1% del totale produzione agricola; Italia 8,3%), le patate e gli ortaggi (Taranto 19,5%; Italia 14,5%), la frutta e gli agrumi (Taranto 9,8%; Italia 8,5%), il latte ed i prodotti zootecnici (Taranto 7,3%; Italia 10%). I servizi annessi incidono per il 19% (Italia12,7%).

I problemi da affrontare sono tre – ha detto Gian Carlo Caselli, presidente del comitato scientifico Fondazione Osservatorio sulla criminalità nell’agricoltura e sul sistema agroalimentare -: il primo è il cosiddetto ‘Italian sounding’, che fattura 60 miliardi di euro l’anno, con l’imitazione e la falsificazione di prodotti italiani a opera di aziende straniere, ma anche di italiane localizzate all’estero. Il secondo – ha proseguito – è l’Italian laundering:  marchi famosi acquisiti da altri rispetto a originari proprietari e, alcune volte, svuotati di qualità, sono pezzi interi della nostra economia che si perdono. Si deve prestare massima attenzione ad eventuali utilizzi di attività di investimento di denaro non trasparente. C’è un terzo profilo specifico che interessa molto – ha poi specificato Caselli – e non solo Coldiretti: noi paghiamo molti alimenti stranieri, polpa di pomodoro cinese, carne di maiale dell’Est, e questi costituiscono ingredienti che finiscono nei prodotti italiani. E’ praticamente impossibile riconoscere la presenza nel prodotto italiano degli ingredienti stranieri, la loro provenienza, la loro qualità e, quindi, la pericolosità per la salute. Vengono utilizzati all’insaputa dei consumatori ignari. Dunque, è indispensabile la trasparenza delle etichette: la tracciabilità è garanzia per salute”.

Assolutamente necessario, data la gravità e diffusione del fenomeno, che l’attività di controllo sia accompagnata da un sistema sanzionatorio più rigido. “Il fronte dell’illegalità è sempre più ampio – ha specificato Gianni Cantele, presidente di Coldiretti Puglia – e riguarda l’agropirateria e l’italian sounding, la proprietà fondiaria, le infrastrutture di servizio all’attività agricola e, non da ultime, le produzioni agricole ed agroalimentari. I reati contro il patrimonio (furto, abigeato, usura, danneggiamento, pascolo abusivo, estorsione, ecc) rappresentano la “porta di ingresso principale” della malavita organizzata e spicciola nella vita dell’imprenditore e nella regolare conduzione aziendale. Le notizie di furti di rame di cui sono piene le cronache locali parlano di aziende, pozzi e strutture letteralmente depredate”. Entrando nello specifico della provincia di Taranto, è possibile notare come i vini ed i mosti sequestrati si attestano a circa 5,2 mila ettolitri nel 2013, lo 0,7% della produzione provinciale. Tuttavia, a ciò va aggiunto che, in provincia, è stata svelata una eccezionale frode in commercio legata alla sofisticazione di vini ammontante a 162 milioni di litri, pari, secondo le statistiche ufficiali, ad oltre il 203% della produzione tarantina del 2013.

Anche dalle informazioni rese disponibili da Coldiretti Puglia emerge – ha detto Paolo Cortese, Responsabile Osservatori Economici dell’Istituto Tagliacarne – come le frodi in provincia di Taranto interessino soprattutto il comparto vitivinicolo. Nello specifico i maggiori rischi per i prodotti enologici riguardano la fermentazione di zuccheri di natura diversa da quelli dell’uva, la qualità inferiore a quella dichiarata in etichetta, la falsa indicazione dell’origine del prodotto. Va specificato che la pratica dell’aggiunta di zuccheri (soprattutto saccarosio) risulta vietata in Italia (ove è consentita esclusivamente l’aggiunta di mosti concentrati), ma lecita in altri paesi comunitari, senza peraltro l’obbligo di specifica nell’etichetta. Tale difformità legislativa crea sui mercati internazionali delle situazioni di svantaggio competitivo per le imprese che vi operano. Si tratta di una pratica che consente di ottenere una gradazione alcolica maggiore e rispondere, con prodotti di scarsa qualità, ai disciplinari di produzione”.

Noti i numerosi sequestri di mosto muto e di falso Primitivo di Manduria ad opera dei Carabinieri del NAS di Taranto, della Guardia di Finanza e dell’Ispettorato Centrale Controllo Qualità e Repressioni Frodi di Bari (ICQRF). “Un’impresa gestita dalla mafia ha un vantaggio competitivo enorme sulle imprese che operano lecitamente – ha aggiunto il Procuratore Capo della Repubblica presso il Tribunale di Lecce, Cataldo Motta – perché potrà usufruire di capitali a costo zero provenienti da altre attività criminali. L’impresa mafiosa non rispetta le regole del mercato, non rispetta i contratti collettivi di lavoro, i dipendenti sono in nero, non ci sono conflitti sindacali e i  controlli governativi ne risentono. L’impresa criminale conseguirà così posizioni di monopolio sul mercato scacciando le imprese legali. Rifacendoci alla legge di Gresham, la moneta cattiva scaccia quella buona. Grazie anche al potere dell’ intimidazione le organizzazioni criminali riescono ad intrattenere rapporti con il sistema bancario. L’obiettivo è quello di produrre documentazioni false per mascherare la provenienza illecita dei capitali. Questo complicherebbe il lavoro degli inquirenti che puntano a colpire i clan nelle loro ricchezze economiche perché, non dimentichiamolo, il mafioso non teme tanto il carcere, ma di essere colpito economicamente”.

Per quanto concerne l’altra specializzazione agroalimentare della provincia, l’olio, va segnalato che in Italia sono circa 160 i milioni di litri di olio di oliva importati ogni anno per essere miscelati con quello italiano ed in particolare con quello pugliese, dato che l’incidenza della produzione olivicola regionale su quella nazionale è pari al 36,6% e al 12% di quella mondiale. Le quantità di olio sequestrate in Puglia nel 2013 si rivelano pari a quasi 27 tonnellate, l’1,5% della produzione originata dal territorio. Anche in tal caso, nell’ultimo anno di osservazione emerge una dinamica inversa: si riduce la produzione e cresce sensibilmente l’entità dei sequestri. In provincia di Taranto, i sequestri di olio si attestano a 83 mila litri, lo 0,5% della produzione locale.

La contraffazione, in particolare, è un fenomeno che si è sviluppato significativamente anche negli ultimi anni – ha specificato Rolando Manfredini, responsabile Area Sicurezza Alimentare della Coldiretti – con attività di diversificazione dei prodotti, falsificazione di marchi, alterazione dei beni alimentari e farmaceutici etc. Si tratta di una attività centrale per i gruppi criminali, in quanto interessa numerosi prodotti anche di largo consumo. In tale contesto, un aspetto degno di nota è relativo al fatto che larga parte delle merci contraffatte non risponde alle normative comunitarie in tema di sicurezza, con evidenti effetti sulla pericolosità di tali beni che, spesso, interessano i minori e l’infanzia. Le province pugliesi sono tutte interessate intensamente dal fenomeno, con Brindisi, Barletta, Andria, Trani, Foggia e Bari che si inseriscono nelle prime 20 posizioni della graduatoria nazionale. Taranto si inserisce al 45esimo posto, esibendo un livello medio alto di illegalità commerciale”.

Occhi puntati sul comparto della pesca. Sono frequenti i sequestri riguardanti per lo più mitili e ricci di mare. Nel 2015, infatti, già si riscontrano sequestri di pinne nobilis (17 kg), su cui vige l’assoluto divieto di raccolta, nonché ricci di mare (100 kg, 3.000 esemplari) e “bianchetto” (40 kg). La pesca non regolare del novellame, anche a pochi metri dalla riva, distorce gli equilibri naturali e l’ecosistema marino, mettendo in pericolo alcune specie ittiche le quali, nel tempo, rischiano di scomparire. Numerosi i sequestri di novellame operati nel 2014, anche in cattivo stato di conservazione e di mitili allevati in campi di mitili realizzati abusivamente in mar Piccolo. L’area è interdetta da un paio di anni all’allevamento e alla commercializzazione dei prodotti a causa della presenza, oltre la soglia consentita, di diossina e Pcb. Sul versante dei prodotti zootecnici, il caso più eclatante di frode scoperto dai funzionari dell’Ufficio delle Dogane di Taranto, è relativo ad un sequestro di 24.632 kg di formaggio/pasta filata dichiarata “Mozzarella”. La merce, stipata all’interno di un container frigo, proveniva da una azienda tedesca ed era destinata in Libia.

Soprattutto in materia di latte e prodotti derivati, non si può tacere il fatto che molteplici studi di monitoraggio ambientale hanno evidenziato un quadro di inquinamento ambientale diffuso relativo al complesso dell’acciaieria. In particolare, i monitoraggi effettuati dalla ASL di Taranto dal 2008 evidenziano che in alcune aziende zootecniche presenti sul territorio del Comune e della Provincia di Taranto è presente una importante contaminazione della catena trofica. In 32 campioni raccolti complessivamente in 8 aziende la concentrazione di diossine (PCDD e PCDF) e di PCB-ds ha superato i limiti in vigore. Oltre, dunque, ai rischi di una insorgenza di neoplasie in funzione della distanza di residenza dalla maggior parte dei siti di emissione quali l’acciaieria ed i cantieri navali, si sottolinea un elevato rischio legato alla contaminazione di prodotti agricoli e zootecnici, tra cui soprattutto il latte.

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